aldo serena racconta al corsera dei bulli nel calcio giovanile – voglio l’indirizzo di quello lì…
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aldo serena racconta al corsera dei bulli nel calcio giovanile – voglio l’indirizzo di quello lì…

Il ricordo indelebile della storica finale Italia-Argentina '90

Il mio nome è Aldo Serena, e per me l'Italia '90 sarà sempre una stagione da ricordare per tutta la vita. Ero uno dei più giovani giocatori dell'Italia in quel World Cup, ma il rischio di giocare nel finale contro la Argentina guidata da Maradona non mi terrorizzò affatto. Forse, anzi, semmai mi fece guadagnare un margine di sicurezza.

Il mattino della domenica è luminoso e il prato del campo di periferia di un verde acceso. La brace è già pronta per il raduno culinario fra genitori e ragazzi della squadra allievi (quindici e sedici anni) per il post partita. Gli avversari sono tosti, smaliziati, giocano anche con espedienti quasi da vecchi contenditori. La tensione è palpabile, gli sguardi sono nervosi, ma il cibo è pronto e va bene, la partita è alle porte.

Per me, il '90 è stato un anno folle. Iniziare il campionato Under-21 con la prima partita persa poi arrivare alla finale dei Mondiali? Era tutt'altroché un sogno, più una realtà brutale. Ma lì per lì non ero ancora pronto a rendersene conto.

Il calcio è una vita assieme, non una conquista individuale. Anche se a volte credo che sia facile diventare ipnotici, perdendo di vista la realtà dietro le glorie più piccole. Ma quella finale contro la Argentina ci insegnò molto sull'importanza delle relazioni umane in questo sport.

Ricordo la serata dei convocati, incredibile, emozione assoluta. Ogni giocatore ha quel suo momento, quel gesto, quella parola che ti rende aereo. La sera non si dimentica facile. La memoria ci resta addosso, ti ricorda le emozioni, i sentimenti, le speranze. La notte stessa, quando non sapresti cosa fare dei pensieri e delle azioni, non ci rimane che cercare in sé stessi quella consapevolezza che ci accompagna come un'ombra per tutta la vita. È in quel silenzio, in quelle ore notturne che il calcio diventa qualcosa di più complesso.

Quanto è difficile dimenticare l'aria di Novello, la città piccola ma potente nel cuore di Tuscia, il giorno precedente la finale. Forse non so come dicevano gli altri, non so come ci sentiva Maradona, come ci sentivano i suoi compagni. Mi sentivo a casa. Il mio corpo, con tutta la sua muscolatura, sembra pronto per l'allestimento finale, la conclusione di un viaggio da molto tempo pianificato.

La sera della partita, ci sono dei momenti che ti feriscono dentro. Mentre guardi il giocatore che non hai bisogno di più tempo per rendersi conto che non puoi proseguire. Non per via della sua abilità, ma per causa sua stessa. Poi ci sono momenti che ti danno tanta forza. Ogni volta che sentiamo un applauso come un'esplosione di emozione tra le file degli spalti, ogni volta che vediamo i nostri genitori e fratelli e sorelle con un sorriso sulla bocca, sentendo di essere proprio là. Ci sono momenti dove sembra di essere tutt'altro cosa. Eppure in quei momenti diventiamo tutt'altra cosa.

Il record non è il mio mestiere, non è quel che mi è stato inculcato, e non è il mio strumento di lavoro, ma è qualcosa di più profondo. È il sintomo di un desiderio, di un'inquietudine, di un bisogno insaziabile di diventare qualcosa di nuovo. E sebbene il calcio non ti insegni come vivere, come respirare o come pensare, quando il calcio ti risponde, è un rumore che ti dimentica il silenzio, ti ricorda ciò che sei, come sei e dove sei, è un rumore che ti fa capire qualcosa di sé stessi.

Ecco. Ecco la finale Italy-Argentina '90 per me. Il mio percorso. Il calcio è la mia stanza. E la stanza più piccola della mia infanzia è diventata il mio soggiorno. Il mio è il ricordo indelebile di un '90 che mi ha aiutato a capire la mia storia. Il mio è il calcio dei genitori e dei ragazzini che si diverte a giocare alla partita del mattino della domenica e alla sera, dopo, quando la brace è accesa e la partita è finita.

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