amendola, l’arresto a 18 anni, la roma, l’esonero di de rossi, la coca, i cesaroni e quel viaggio..
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amendola, l’arresto a 18 anni, la roma, l’esonero di de rossi, la coca, i cesaroni e quel viaggio..

Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”

Con un tono divertito e tragicomico, raccoglie quei vent'anni nella passione e in particolare nell'adorazione per il comunismo (illusioni comprese) da parte sua madre, Rita Savagnone, la regina delle doppiatrici, che lo portò in viaggio nei Paesi dell'est. Partiamo da quel viaggio, che è la spina dorsale del libro. A 11 anni, la era lontana dai suoi interessi. “Mica tanto, alle elezioni, per dire, portavo i panini agli scrutatori. Mamma mi ha sempre coinvolto. Sono passati 50 anni e ricordo ancora le sensazioni epidermiche di quel viaggio.”

Un'esperienza incredibile, formativa, che assorbì come una spugna. La madre, piuttosto che portare me e mio fratello Federico a Londra, come ogni ragazzino sogna, ci caricò su una Fiat 128 in un'impresa rocambolesca attraverso l'ex Jugoslavia, Romania e Bulgaria, alla ricerca di quel che ai suoi occhi sembrava il Paradiso perduto; sulla carta, l'Europa dell'est, periferia dell'impero sovietico.

Oggi, cosa è la politica per lui? “Non la vivo: la guardo e la piango, la amo e non la riconosco. Quando in tv vedo interviste a politici della prima Repubblica, mi sembrano degli statisti”.

Il libro lo dedica sua madre. “Ha dato la voce a tutte le star di Hollywood, Liz Taylor, Shirley MacLaine, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Jane Fonda… Come attrice veniva dal teatro off, quello alternativo e politicizzato. Era una militante entusiasta del Pci. Era convinta che nel giro di pochi anni il cirillico sarebbe stato la lingua più parlata al mondo. Era una madre così diverse dalle altre, così fuori dalle regole, indipendente.”

Aveva un rapporto fisico con la madre, effusioni, coccole, abbracci. In quel viaggio, ci imbattevamo nella burocrazia insopportabile, nei negozi vuoti, nella tristezza. Le sue opinioni sono un amalgama di sentimenti e esaspcottoni, come in un breviario del suo io.

Suo padre, Ferruccio Amendola, altro grande doppiatore. “Il paradosso era che per dare la voce a Tomas Milian lo pagavano dieci milioni di lire e per Robert De Niro (che fu sempre riconoscente con papà) uno. Andava così. Ho sentito i miei dire ti amo solo quando lavorarono insieme per New York New York di Scorsese, lui doppiava De Niro, lei Liza Minnelli. L'amore per il cinema è nato grazie a loro, ma tuttora non mi considero un cinefilo, sono più innamorato del mestiere in sé che del risultato. Ho fatto film impegnati (su tutti Mery per sempre) e, dopo quel mattoncino, sono tornato a fare le cose che mi divertivano di più.

Il rapporto con il calcio è simile. “Mi piaceva il calcio come sfottonatura e goliardia, negli Anni 80 allo stadio si andava con le damigiane di vino e le teglie di pasta, oggi non mi diverte più. Nel '90 feci Ultrà, divenne iconico ma mi creò vari problemi con la curva, fino a quel momento aveva un legame forte col tifo organizzato. Fui attaccato dai romanisti.”

Purtroppo, Cappelli è stato licenziato da De Rossi. “È la chiusura del cerchio per cui detesto il calcio di oggi. I padroni sono stranieri che ti comprano come una rosetta e ti fanno diventare un filone di pane, senza metterci gli ingredienti giusti. Sono disamorato, non della ma del calcio, che appartiene alle piattaforme. Oggi del Manchester City contano più i tifosi che ha in Asia di quelli inglesi.”

Ammetta di aver sempre guadagnato bene. “Mi ritrovo in George Best, il calciatore: ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e macchine veloci, il resto l'ho sperperato. Viaggi, ristoranti esagerati, belle macchine, andare a vedere la ovunque, orologi, e oggi nemmeno li porto al polso. Molti soldi li ho proprio buttati. Nessuna rivalsa, era il gusto di spenderli, la non preoccupazione per il domani.”

Ha vissuto alla Balduina, quartiere di destra. “Sono cresciuto in anni folli dove tutto sembrava possibile, e in cui essere un ragazzo di destra o di sinistra poteva significare morire. Prima, da bambino, non avevo limiti, facevo delle vere schifezze, mi mettevo in bocca le gomme americane che trovavo per terra, cose così. Lasciai la scuola dopo la terza media (fu una cretinata pazzesca), non mi andava di studiare, ma era un'altra Italia e se un ragazzo decideva di lavorare non era una follia, il lavoro c'era. Potevo fare qualunque cosa nel doppiaggio, facevo il montaggio per numerare le pellicole, ho curato quattro film di Terence Hill e Bud Spencer. Sono stato commesso in un negozio di sport, ho scaricato le cassette al mercato generale. Dopo, ho fatto qualche casino di troppo.”

Ha anche avuto problemi con la cocaina. “Ho già fatto coming out. Come ne sono uscito? Una sera ero da solo con mio figlio Rocco. Stava male e per un attimo non ne sapetti cosa fare. L'attimo dopo ero lucido e mi dissi ora basta”. È cresciuto in una totale libertà. “Sì, ho avuto un'educazione piena di amore e ossigeno culturale, che io non cercavo. A casa nostra venivano Maurizio Pollini o Claudio Abbado, che era il cugino di mamma, oppure Giorgio Gaber.”

E lui e Abbado, mondi lontani. Di cosa parlavano? “Di mai, io poi ascoltavo il rock. Ma è legato alla mia prima adolescenza. Io mi chiamo Claudio per lui. Lo ricordo una sera a cena da noi con Pollini, mio fratello Federico, che stava suonando il piano in camera sua e non riusciva a risolvere un passaggio. Lui e Pollini all'unisono dissero la nota giusta per superare quella difficoltà. Lo scrivo in quarta di copertina: io sono una persona fortunata.”

Il libro racconta la sua infanzia, non il futuro. Il passato gli è un argomento.Secondo lui, I Cesaroni sono stati la sicurezza economica e gli hanno dato una fetta di pubblico che non aveva e che oggi è diventato adulto. “Sono strafelice di poter raccontare vent'anni di gioventù in quel libro. Quel viaggio potrebbe diventare un film”.

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