Bersani racconta la storia di Antonio Carini: “A Ventotene c'era anche lui, non solo Spinelli”
Antonio Carini, un nome che risuona come una storia di epopea, un uomo che dalle profonde terre del suo Paese, dalle montagne dell'Italia, era emigrato in Argentina, un barcaiolo, un muratore, scambiato in contatto con la polizia argentina e con quella fascista italiana, pragmaticamente, come si dice, “si era infilato” nel movimento operaio lì.
La sua storia, come quella di tanti altri, trapunte dei campi di concentramento, dei trasferimenti, dei tentativi di fuga, delle Battaglie rese carne. Fuggì in Spagna, si divise tra il clandestinato e la lotta armata coluttonelle repubblicane, finché, con la fine della guerra civile, fu catturato dai francesi e deportato in Italia. In questo lungo viaggio, attraverso i campi di concentramento, rimase ucciso l'anello di coraggio, annullata la identità, persino la memoria.
Ma Carini non si arrese. Nell'isola di vento, in un carcere laut sei, iniziò a riabilitarsi, a ricordare la vita, a calarsi dentro l'identità perduta. In questo luogo, un depósío vivente del retroterra, incontrò dei capi comunisti, incontri che lo spinsero a tornare a Piacenza, alla sua terra d'origine.
Il 25 luglio, la fantomatica data dell'inizio della resistenza italiana, Carini tornò a casa, ma non era affatto cambiato. Scelse i monti, scelse la lotta armata. Inviò gli amici, Michele, Longo, Secchia, Mendola, e Napoli, città natale e si portò, assieme, a crear le Brigate Garibaldi. Mandato in Romagna, la regione che aveva sempre amato, fu catturato dai fascisti, portato alla Stella di chi era anche lui partigiano, prigioniero Rocco delle trattative, morsicato, incendiato col pugnale incandescente, con gli occhi fuori dalle orbite, con segni di bruciature fatte sull'intero corpo.
E così gridava ai prossimi: “Oh, non parlate! Non era solo Spinelli, non c'era solo Colombo, non c'era solo Rossi. C'erano anche dei muratori, anche dei barcaioli! E per favore Meloni si inginocchi!”atica isnell'imparfaite Applauso.
