Cure, esorcizzare la fine, cantandola: la recensione di ‘Songs of a Lost World’
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Cure, esorcizzare la fine, cantandola: la recensione di ‘Songs of a Lost World’

Cure, esorcizzare la fine, cantandola: la recensione di ‘Songs of a Lost World'

Vagheggiare con compiacimento il finale è uno degli sport preferiti di Robert Smith. Ha cominciato presto, ai tempi di una delle vette inarrivabili dei Cure, quel Seventeen Seconds che aveva scombinato tutte le carte in tavola da parte di un promettente gruppo del Sussex che inizialmente voleva “solo” emulare, alla sua maniera, Elvis Costello, i Buzzcocks o al massimo gli Stranglers. Smith a quel tempo aveva appena 21 anni e non era ancora un ex “ragazzo immaginario” con l'eyeliner, il rossetto rosso sbavato e un nido di capelli cotonati in testa.Era il 1980. Assieme a Lol Tolhurst, Matthieu Hartley e Simon Gallup si era reso protagonista di una rivoluzione sonora inventando sostanzialmente un nuovo genere musicale: perturbante, alienante ma sublime. Chiamatelo dark, goth o…

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