Dalla pace di Oslo alla Seconda Intifada: la svolta di Marwan Barghouti
Nel 1993, Marwan Barghouti credeva nella pace di Oslo, parlava con gli israeliani e partecipava a conferenze internazionali. Tuttavia, pochi anni dopo, a causa dell’assassinio del premier israeliano Rabin e dell’espansione degli insediamenti dei coloni, la situazione cambiò drasticamente. Barghouti passò dalla diplomazia alla resistenza armata, guidando i Tanzim, il braccio armato di Fatah. Nel 2002, scrisse sul Washington Post: “Non sono un terrorista, ma non sono nemmeno un pacifista. Non cerco di distruggere Israele, ma solo di porre fine all’occupazione del mio Paese”.
Nel 1993, a Oslo, fu firmato un accordo di pace storico tra i leader di Israele e quelli dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), di cui Fatah era la fazione principale. Grazie a questa tregua, Barghouti riuscì a tornare a casa e a diventare segretario generale di Fatah in Cisgiordania. Nel 1996, con la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, fu eletto membro del Consiglio legislativo. Ebbe così l’occasione di partecipare alle conferenze sulla pace e di conquistare la stima dei suoi omologhi israeliani. Molti credevano che Barghouti avesse realmente a cuore la pace con Israele e che fosse l’alleato perfetto per costruire un futuro di coesistenza basato sul rispetto.
Tuttavia, le belle parole non furono seguite dai fatti. L’assassinio del premier israeliano Rabin da parte di un colono estremista israeliano, unito alla crescita inarrestabile degli insediamenti, distrusse ogni premessa di pace. I governi israeliani successivi non mantennero gli impegni e l’occupazione continuò a espandersi. Per Barghouti, fu un punto di rottura. Lui, che aveva creduto nella diplomazia, cambiò rotta quando nel 2000 scoppiò la seconda intifada, la sollevazione di massa contro l’occupazione israeliana. L’uomo che aveva imparato l’ebraico e partecipato ai colloqui di pace si mise a capo delle proteste, passando dalla diplomazia alla resistenza armata e assumendo la guida dei Tanzim.
In un editoriale sul Washington Post pubblicato nel 2002, Barghouti definì il suo ruolo con estrema lucidità: “Non sono un terrorista, ma non sono nemmeno un pacifista. Non cerco di distruggere Israele, ma solo di porre fine all’occupazione del mio Paese”.

