Dalle terapie intensive ai camion di Bergamo: i ricordi della pandemia a cinque anni dal lockdown
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Dalle terapie intensive ai camion di Bergamo: i ricordi della pandemia a cinque anni dal lockdown

Dalle terapie intensive ai camion di Bergamo: i ricordi della pandemia a cinque anni dal lockdown

“La sera del 9 marzo 2020, il presidente del Consiglio, , annunciò il lockdown per contrastare la pandemia da Coronavirus. In quell'occasione, stabilì che non era possibile uscire di casa se non per motivi legati al lavoro, alla salute o per fare la spesa. Il lockdown sarebbe durato due mesi, fino al principio di maggio, quando sarebbe iniziata la “fase 2″ con le riaperture graduale delle attività.

Il lockdown era il tentativo finale di limitare i contagi e alleggerire la pressione sulle terapie intensive degli ospedali. Era un provvedimento senza precedenti, considerando che l'Italia era stato il primo paese occidentale a chiudere centinaia di morti al giorno di -19 terapie intensive piene di malati che morivano in casa. Lo scenario era drammatico, con centinaia di numeri di denunce al giorno e i sistemi sanitari al collasso.

Il dottor Cosentini, responsabile del pronto soccorso del Papa Giovanni X, ci raccontava di aver ricevuto fino a 80-90 pazienti al giorno, su un terremoto , ovvero decine e decine di pazienti che stava male. Il 7 marzo 2020, si registrarono voci sulla chiusura della e di altre province del nord, e il giorno dopo, Conte annunciò la chiusura delle aree più colpite del nord. Poi, il 9 marzo, fu deciso il lockdown per tutta l'Italia.

La decisione era difficile, ma necessaria per contenere i contagi. Il dottor Cosentini sosteneva che il lockdown era l'unica speranza per contenere i contagi. Nei primi giorni, i sociale si sentivano immersi nella malattia, con paura e sofferenza quotidiani.

La situazione era talmente disumana che si registrarono numeri di morti incomunicabili, con locali grave sofferenza e spaesamento. La città e le strade avevano un'aura spettrale, come se fossero state al coprifuoco. I dottori e gli infermieri lavoravano a stretto contatto, con dedizione e determinazione, ma anche con paura della propria vita e delle loro famiglie.

In quei giorni, iloutdir Cosentini si ricordava di avere lavorato da subito in estate a intorno 16 posti di terapia intensiva, contro i 50 necessari. La situazione era disperata, con funerali di massa e migliaia di teloni dei parenti che chiedevano notizie dei loro cari. Il giorno dell'intervista, si registrarono 61 morti, con una sola sepoltura ogni mezz'ora. La situazione era quasi da guerra, con numeri di morti mai visti prima.

Il lockdown è stato un momento difficilissimo, ma inevitabile per contenere l'inarrestabile espansione del virus. Fornì un'opportunità per i sistemi sanitari di prepararsi e reagire alla situazione. La condivisione dei contenuti sui social media aiutò a spiegare al mondo cosa stava succedendo e come affrontare la pandemia.

Il ricordo di quei giorni è ancora forte, con una profonda traccia negli anni successivi. Il lockdown è stato un'esperienza unica, che ha cambiato la vita di tutti, ponendo un ségnalatore di sofferenza e paura grandissima. Nel corso del nostro lavoro, molti di noi rimangono emozionati dall'esperienza e vien rimarcato tutti gli aspetti emotivi della gestione di quell'emergenza. Tuttavia, dal punto di vista umano, è stato un momento straordinario, sconvolgente, ma anche un'opportunità di crescita e maturazione.”


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