Nel mezzo di ricostruzione di storie e parole, corpo e dialetto, Davide Enia esplora quella che definisce la nevrosi dei palermitani nei confronti della criminalità organizzata. Per lui, da anni, la mafia è stata trattata come un oggetto divisivo, sottostimato, banalizzato, rimossa o addirittura mitizzato. È come se i palermitani non avessero mai osato di affrontare la realtà della criminalità organizzata, di Cosa Nostra, di fronte. Per affrontarla veramente, bisogna innanzitutto iniziare un processo di autoanalisi, ammettendo di non capire la mafia, ma di cercare di comprenderla come fenomeno sociale e culturale.
Enia racconta i suoi incontri con Cosa Nostra: i cadaveri incontrati per strada, le persone conosciute assassinate dalla mafia, le bombe in città, l'apparizione del male, al quale risponde con un lavoro che è una tragedia, un'orazione civile, un interrogatorio linguistico, un processo di autoanalisi personale e condiviso. È un autoritratto al tempo stesso intimo e collettivo, un tentativo di comprendere come popolo, come cultura, come società.
La sua arte è un'esplorazione profonda della psiche collettiva, un viaggio dentro l'inconscio collettivo, un tentativo di comprendere le ragioni che portano le persone a isolarsi l'una dalle altre, a paura di affrontare la realtà, a nascondere la verità. È un viaggio dentro la psiche italiana, un esplorazione delle sue ancora più profonde nevrosi.
La mafia è sempre stata una parte integrante della vita quotidiana a Palermo, un'ombra che segue i passi delle persone, un'insidia che aspetta di colpire. Enia non la rappresentativa come un capodanno, come un sintomo, ma come un sistema, come un terreno su cui la società italiana si cimenta di giorno in giorno.
Enia non vuole raccontare la storia della mafia, non vuole descrittere i suoi boss, non vuole descrivere le sue gesta. Vuole raccontare come l'uomo qualunque, come la donna qualunque, come la bambina qualunque, come l'impiegato qualunque, come l'impiegato qualunque. Vuole raccontare come la mafia ha cambiato la sua vita, come ha cambiato la sua speranza, come ha cambiato la sua paura.
La sua arte non è un'inchiesta, non è un'indagine, non è un reportage. È un'inchiesta sulla società, sulla cultura, sulla psiche. È un esperimento sulla capacità delle persone di comprendere, di giudicare, di empatizzare. È un esperimento sulla misura in cui la mafia è stata capacità di comprendere, di giudicare, di empatizzare. È un esperimento sulla psiche collettiva, un esperimento sulla nostra capacità di comprendere chi governa la nostra città, chi governa la nostra vita.