Davide Scabin, lo chef tra eccessi e rinascita: “Sono primordiale”
Davide Scabin, uno degli chef piemontesi più celebri e apprezzati, racconta la sua vita tra eccessi, cadute e rinascite. In un'intervista al “Corriere della Sera” fa un bilancio della sua carriera e della sua vita. “Ho l'indole da bombarolo – esordisce – sono sempre entrato a gamba tesa nelle cose. Sono stato molto rigoroso, è stato faticoso lavorare con me. Oggi, però, il tempo mi ha dato un po' di saggezza: preferisco posizionare delle microcariche”. Della cucina italiana dice: “Oggi è ferma, è un momento di iperstagnazione, di stallo. Non c'è fermento. Non ci sono fratture che fanno nascere il nuovo. Per dire, nella frattura in Francia tra chef creativi e tradizionalisti si infilò la Spagna la cui cucina ha poi dominato per molto tempo. Tutti sifonavano tutto, ma sono stati anni contagiosi. C'era senso di movimento. Oggi no. In compenso molti copiano”.
“Chi è troppo avanti finisce per stare nell'ombra – aggiunge – prendendosi meno meriti di chi parte dopo. Diciotto anni fa proposi il Tataky di melanzane, fu accolto dal gelo perché allora andavano solo le sferificazioni. Poi arrivò Redzepi e si tornò alla naturalizzazione. Solo che io ero partito prima”.
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“Se vincessi al Superenalotto e avessi 30 anni di tempo ricostruirei subito un altro Combal”
La carriera di Davide Scabin inizia da giovanissimo. “Vengo da una famiglia umile – racconta -. Mia mamma era capoarea in una piccola industria dolciaria, mio papà camionista. Al mare non mi hanno mai portato tante volte. Sono stato allevato con rigore come un Navy Seal: l'affetto c'era ma era quello sabaudo. Da bambino sapevo attaccare i bottoni, lavare, pagare le bollette. A 16 anni facevo già il capopartita in Sardegna. E in brigata sono sempre stato quello con la toque dritta: la sapevo inamidare e stirare alla perfezione”. Poi rivela: “In realtà volevo fare l'hacker. Ma fu mia mamma a spingermi a fare l'alberghiero e a diventare cuoco: aveva paura che studiando informatica non avrei trovato lavoro. Non so ancora se questa è stata una colpa o se la devo ringraziare”.
Il suo ristorante Combal.zero è stato considerato uno dei ristoranti più creativi d'Italia. “È stato per me casa. Niente mi potrà mai più emozionare come quel posto – ammette – Oggi mi manca tutto quello che ho costruito, quell'energia incredibile. Se vincessi al Superenalotto e avessi 30 anni di tempo a disposizione, ricostruirei subito un altro Combal. Sogno di riunire quel branco, anche quelli che negli anni si sono persi per strada o che ho cacciato via, vorrei invecchiare con loro, ammesso che loro vogliano”.
“Quando mi hanno tolto la Stella è stato come ricevere una sportellata in faccia”
Il momento più difficile arriva quando nel 2015 la Michelin tolse al Combal.zero la seconda stella. “Fu una sportellata in faccia – confida Davide Scabin -. Il mio vice Beppe Rambaldi andò quasi in depressione. Anche Max Raugi, che oggi dirige la sala di Cannavacciuolo. Erano tutti convinti di essere sotto osservazione per la terza stella, invece ci declassarono senza mai spiegare il motivo. In quel periodo stavo aprendo a Manhattan, ero spesso lontano. Penso che abbiano voluto dire: vediamo se al Combal ci sono distrazioni”. Poi aggiunge: “Se gli ispettori hanno trovato errori tecnici, va bene. Però chiedo: qual è il metodo applicato? Diciamolo: se la Michelin oggi vuole declassare uno qualunque dei ristoranti tristellati, un motivo lo trova sempre. Proprio perché la Rossa ha una grande storia alle spalle e credo nel suo valore, sarebbe giusto cominciare a fare un discorso di trasparenza. All'epoca cercai di reggere il colpo per sostenere mentalmente i ragazzi. La mia reazione? Alzai i prezzi. E il ristorante andò sold out per sei mesi”.
Il locale ha chiuso i battenti definitivamente nel 2021. “Il motivo? Come tutte le aziende di alto livello, senza un investitore si hanno difficoltà economiche – spiega lo chef – Non è un segreto. Io ero riuscito a sostenere il ristorante in modo personale ma poi, terminate le consulenze importanti a causa della pandemia, ho dovuto chiudere”.
Davide Scabin: “I miei eccessi? Tutto vero. Ero primordiale, ma mi sono evoluto”
Di Davide Scabin si dice che ami gli eccessi: beve, fuma, fa debiti, prende multe in stato di ebbrezza, ed è un donnaiolo. “Niente di falso. E allora? – ammette -. Sono sempre stato un uomo un po' primordiale. Oggi però mi sono evoluto: a un certo punto bisogna imparare a scendere dall'albero. Ho smesso di bere per esempio. E faccio il digiuno intermittente: 20/4. Cioè sto 20 ore senza mangiare. In realtà bisognerebbe saltare durante le ore notturne ma io me ne frego del ritmo circadiano: digiuno di giorno e mangio alle due di notte al termine del servizio. Per esempio, un'insalata di ottimo tonno con cannellini e cipollotto di Tropea. Ogni tanto faccio anche il digiuno vero: una volta sono arrivato fino a 5 giorni. Entri in un'altra dimensione, il cervello va ai 500 all'ora. Il problema restano le sigarette: ne fumo ancora due pacchetti al giorno”.
Lo chef ammette di essere stato un donnaiolo: “L'indole da sciupafemmine resta ma oggi sto con una persona che mi regala il senso di infinito. Nel 2015 avevo detto basta con le donne, poi è arrivata lei che mi ha ridato profondità e fiducia”.
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“Forse mi sposo e voglio continuare a bruciare padelle per almeno altri venti anni”
Lo chef confessa di essere pronto anche al grande passo. “Il matrimonio? Sono già stato sposato tanto tempo fa – rivela – durò solo 8 mesi, lei come arrivò così se ne andò, dicendo: mi sono sbagliata. Risposarmi? Perché no. In fondo il matrimonio è un impegno nei confronti della società. Il momento dopo il sì è una bella sensazione”. Alle soglie dei 60 anni ammette di avere qualche rimpianto: “Non mi sono mai affidato a una persona di marketing che valorizzasse l'immagine mia e del ristorante, avrei dovuto. Poi, fino ai 33 anni ho sofferto per non aver fatto l'università. Mi sentivo di serie b. Il complesso di inferiorità l'ho alla fine perso ma oggi, potendo, mi iscriverei a una facoltà scientifica”. Infine Davide Scabin descrive il piatto che lo rappresenta di più: “Nasco saucier. Il mio core business sono i brodi. Oggi penso di aver raggiunto un livello alto. Ma non voglio arrivare al 10: poi la corsa è finita e dopo cosa fai? Io invece voglio continuare a bruciare padelle per almeno altri venti anni”.