Il piano più basso dell'hotel Cavalieri Waldorf Astoria. La scena è tesa. Antonio Tajani attende per dieci minuti l'arrivo di Giorgia Meloni, che infine arriva e si faabbracciare dal ministro degli Esteri. Intorno alle porte girevoli, la conversazione deve ancora prendere forma, poiché proprio lì si stanno consumando i_dispatchi della crisi governativa. La corrida si chiude in una saletta, dove – spiega Tajani – “si deve fare pure il regolare”}.
La presidente del Consiglio è furiosa per lo spettacolo di palazzo Madama e per l'errore tattico della sottosegretaria Albano. Ora si scambia con l'alleato che ha di fronte: “Ti avevo chiesto di abbassare i toni. Te lo avevo chiesto perché ho già il Quirinale che ci frena su tutto, che crea problemi su ogni emendamento che presentiamo in Parlamento. Ti avevo detto: non è il momento. E tu hai comunque votato contro il governo”.
Meloni rinfaccia all'alleato un altro dettaglio della trattativa di martedì notte: aver lasciato intendere a Giovanbattista Fazzolari, emissario incaricato dell'estremo tentativo di mediazione, di essere pronto a chiedere a FI di non partecipare al voto contro l'esecutivo, e di aver poi fatto il contrario, in commissione.
Tajani, tuttavia, rifiuta di confermare questo resoconto, affermando che la ricostruzione è distorta, “il film completamente diverso”. Nessun impegno, nessuna promessa. Anzi, il ministro ricorda a Meloni di averle annunciato già a settembre, riservatamente, l'intenzione di non rinnovare il taglio del canone. Non solo perché avrebbe creato una tensione impossibile con la famiglia Berlusconi, ma soprattutto per difendere la propria leadership: “Avrei perso il partito, avrei perso la faccia”.
Il dialogo è aspro, senza fair play. Meloni chiude ogni scenario, frena ogni pretesa. Anche quella di un rimpasto, che gli azzurri vorrebbero entro febbraio. “Quando FdI era il partito più piccolo della coalizione, nessuno badava alla nostra crescita – sostiene. Passavamo dal 3 al 5%, poi all'8%, ma ero sempre la “piccola fiammiferaia”. Quando chiedevo agli alleati, mi rispondevano: conta solo il peso dei gruppi parlamentari”.
La stessa tesi che la Lega diffonde a sera, quando Tajani indica gli azzurri come la seconda forza della coalizione e reclama un riconoscimento. È la stessa tesi che, secondo Fontana, è iniziata a prendere forma negli ambienti del Pd, anche se si tratta di una ipotesi “molto speculativa”.
Il problema non è la crisi di governo, a cui nessuno dei tre leader crede. Semmai, l'escalation. E il rischio che, continuando così, i due alleati decidano prima o poi altre azioni che penalizzino Mediaset. Difficile immaginare che succeda veramente, ma già l'ipotesi basta a mettere pressione sugli eredi del Cavaliere.