“Ecco cosa succederebbe in caso di attacco”, Calenda vuole le armi. Lo spiega col generale Camporini
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“Ecco cosa succederebbe in caso di attacco”, Calenda vuole le armi. Lo spiega col generale Camporini

“Ecco cosa succederebbe in caso di attacco”, Calenda vuole le armi. Lo spiega col generale Camporini

“Ecco cosa succederebbe in caso di attacco”, disse Calenda, esposto al Generale Camporini. “Voleremmo le armi”. Il generale Camporini, responsabile dell'area della difesa, soggiunse che l'obiettivo di questo formato è di chiarire alcune questioni non esplicitate rispetto all'espat disponibile.

La prima osservazione che si fa è che le persone sostengono di non amare investire in armi, ma ci sono già una spesa militare a livello europeo degli Stati europei, quantificata in 350 miliardi di euro. Però, non bastano quei soldi, va detto, perché i Paesi europei, grazie alla militanza atlantica, hanno trascurato alcune capacità fondamentali, confidando sul fatto che il rapporto con gli Stati Uniti garantirebbe che queste capacità fossero disponibili per tutti. Questo si sta rivelando un'illusione e serve necessariamente che queste carenze vengano colmate. Queste carenze non si possono colmare su base nazionale.

Spiegò che, ad esempio, la difesa aerea e la difesa antimissile non possono coprire un'area grande come un'intera nazione, per quanto importante sia. Bisogna avere un sistema che copra tutto il continente, poiché la minaccia è particolarmente pericolosa, con velocità in gioco dell'ordine di 20.000 km/h. Stiamo parlando di un sistema che necessariamente deve essere più ampio di quello nazionale e della Unione Europea è il luogo dove fare questo tipo di programmazione.

Inoltre, rilevò che il piano fondamentale che spiega bene non è di 800 miliardi per la difesa, ma di 150 miliardi di euro, della spesa europea, più la possibilità degli Stati di aumentare la loro spesa fino al punto e mezzo del PIL, con garantie per gli investimenti. Questo dovrebbe portare, in un orizzonte di 4 anni, a questi investimenti in più.

Inoltre, criticò l'osservazione che il piano fondamentale si rivolge ai bilanci nazionali e non alla costruzione di un esercito europeo. “Forse è importante chiarire i bilanci nazionali e l'esercito europeo”, affermò. “Sì, è importante chiarire soprattutto che, oggi, le capacità militari europee sono date dalla sommatoria delle capacità dei singoli Paesi, non c'è un esercito europeo, così come non c'è un esercito NATO. La NATO utilizza le capacità che i singoli Paesi mettono a disposizione per organizzare le sue esercitazioni, le sue operazioni, la sua postura difensiva. Lo stesso vale per l'Unione Europea, per cui non esiste un'entità integrata che potremmo chiamare Forze Armate europee. Perciò, dobbiamo necessariamente rivolgerci ai singoli Paesi, i quali devono assumerse la responsabilità di creare le forze per la difesa comune, il che è esattamente ciò che accade oggi all'interno della NATO.”

Il generale Camporini espose ipotizzando uno scenario in cui la Russia attacca uno Stato membro come l'Estonia. “Ebbene, cosa succederebbe?” chiedeva. “Ecco, ci sono state osservazioni dubbiazioni sul fatto che gli Stati Uniti potrebbero non intervenire militarmente, dicendo ‘non siamo disponibili, non riconosciamo questo obbligo'”. E in quel caso, ci sarebbe un problema operativo.

In seguito, chiarì che l'articolo 5 della NATO dice che, in caso di aggressione a uno dei membri, tutti gli altri sono tenuti a prestare il loro appoggio, compresi i mezzi militari, come ritengono necessari. “Ecco, se gli Stati Uniti decidessero di non intervenire militarmente, ma di dare un colpo di spalla alla dirigenza dell'Estonia, avrebbero rispettato l'articolo 5, ma non l'avrebbero tradito nella forma, è chiaro che questi è un punto fondamentale”.

Sottolineò che esiste anche una previsione analoga nel Trattato di Lisbona, all'articolo 42, che dice che c'è una sorta di responsabilità collettiva, per cui se un Paese viene aggredito, tutti gli altri sono tenuti a intervenire con tutti i mezzi disponibili. “Ecco, è un obbligo ancora più forte, ma rimane un obbligo formale”.

Inoltre, si interrogò sulle possibili soluzioni per garantire la sicurezza. “Il rischio è che l'Ucraina, se venisse aggredita, NK, decidesse di riprendere il controllo su alcuni pezzi del Donbass, sapendoci sono truppe europee a garanzia, è chiaro che le truppe europee sono a garanzia del fatto che l'Ucraina non esegua alcuna attività che interrompa il cessate il fuoco”.

Infine, si interrogò sull'idea del ritorno della leva, “che molti persone agitano, cioè dicono ‘se dobbiamo insieme agli altri Paesi europei difendere i nostri confini, occorre un passo alla leva'”. Il generale Camporini sottolineò che l'Italia ha un esercito di 195.000 unità, ma non può impiegare più di 20.000-30.000 uomini operativamente sul terreno. “Noi sommiamo tutte le capacità che ci sono in Europa e vediamo che possiamo essere davvero in difficoltà. Guardiamo cosa accade oggi in Ucraina, secondo gli ultimissimi dati ventilati, stiamo parlando di un esercito russo che sta impegnando sul fronte UG graino 460.000 uomini…ora i nostri 99.000 o 70.000 della Podestà Bri armi, chiaramente avrebbero delle serie difficoltà. Il ritorno della leva è un fatto politico molto rilevante, richiederebbe comunque tempi lunghi…quindi potrebbe essere progettato un esercito di interposizione, una sorta di garanzia che verifiche il rispetto degli accordi…”.


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