I ricercatori precari protestano contro la riforma Bernini a Milano: “Non abbiamo futuro”
I ricercatori precari protestano contro la riforma Bernini a Milano, esprimendo la loro agitazione e preoccupazione per il futuro. Essi sono rappresentanti dell'Università di Milano e di tutte le università italiane, che si sentono minacciati dalla riforma che mira a precarizzare ulteriormente la figura dell'assegno di ricerca.
I ricercatori precisano che, attualmente, essere assegnisti di ricerca in Italia significa non potersi permettere un futuro, non potersi permettere di pianificare la propria vita, poiché il contratto è subordinato e il salario è basso. Lo stipendio base è di 1.400,17 euro, che con l'inflazione scende e oscilla. La riforma ha l'obiettivo di togliere il minimo sindacale stipendiale sulla figura dell'assegno di ricerca, cosa che porterà a una ulteriore precarizzazione e a un reclutamento ancora più impoverito.
I ricercatori lamentano che la borsa di studio è di appena €1.200, mentre una borsa di dottorato è di €1.980, una delle più alte in Italia. Tuttavia, altre regioni hanno retribuzioni ancora più basse. L'università non può funzionare senza di loro, nonostante siano figure precarie spesso invisibilizzate. La maggior parte dei dipartimenti è composta da personale precario, come dottorandi e assegnisti.
La situazione è stata esacerbata dal PNRR, che ha generato una crescita entusiastica di contratti, ma in realtà porterà a una maggiore precarizzazione di chi è già dentro l'università. I ricercatori protestano contro la riforma, che avrà conseguenze non solo su di loro, ma su tutto il sistema universitario.
Le conseguenze più gravi del ddl Bernini saranno due: l'ancora più crescita e moltitudine di profili precari e un abbassamento delle condizioni contrattuali e del salario. Inoltre, la riforma non permetterà l'accesso alle figure in Nuovo TRK. La riforma si accompagna a una serie di tagli alle spese pubbliche, comprese quelle per la scuola, l'università e la sanità, per finanziare le spese belliche.
I ricercatori considerano questo un grave schiaffo alla cosa pubblica e lamentano che la direzione che sta prendendo è un depotenziamento della scuola, dell'università e della sanità, mentre si investe in risorse belliche per militarizzare il paese.