Il giorno in cui una valanga di detriti distrusse una scuola e cambiò la Gran Bretagna
È una mattina come tante altre alla Pantglas Junior School. Gaynor, 8 anni, ha salutato frettolosamente i suoi fratelli Carl e Marylyn prima di entrare in classe. Ma la tranquillità si trasforma presto in terrore quando un rumore crescente e il tremolio delle luci annunciano una catastrofe. Una valanga di liquami e detriti travolge la scuola, seppellendo bambini e insegnanti. La tragedia, che ha causato la morte di 144 persone, tra cui 116 bambini, ha lasciato una ferita profonda e ha cambiato per sempre le normative di sicurezza nelle miniere britanniche. Questa è la quinta Ultrastoria di Fanpage.it raccontata da Olimpia Peroni.
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Gaynor è una bambina di otto anni. Quella mattina, poco prima di entrare in classe, ha salutato per i corridoi suo fratello Carl, di sette anni, e sua sorella maggiore Marylyn di dieci. Li ha salutati normalmente, magari anche un po' di fretta, come è normale che sia tra fratelli quando si va tutti, ogni giorno, nella stessa scuola. Voglio dire, comunque si rivedranno tra qualche ora all'uscita, no? Gaynor entra in classe, saluta i suoi amici, le sue amiche e a brevissimo comincerà la lezione di matematica delle 09:30. Intanto i bambini parlano tra loro. È venerdì, quindi da un lato sono stanchi per la settimana appena trascorsa, dall'altro sono eccitati per il weekend. C'è chi si mette d'accordo per vedersi e giocare dopo scuola, chi sarà con i genitori, chi spera che non pioverà come ha fatto per tutti i giorni precedenti. Poi la lezione comincia. I bambini si zittiscono, Gaynor si siede al suo banco, prende quaderno, penna. L'insegnante comincia a fare l'appello. Ma in quel momento le luci iniziano a oscillare e si sente un rumore proveniente dall'esterno. Prima in lontananza e i bambini si spaventano, ma l'insegnante dice che è solo un tuono, poi però diventa sempre più forte e avete presente il rumore che fa un aereo quando decolla? Ecco, il suono è esattamente quello. Un lontano rombo profondo che gradualmente si intensifica in un ruggito assordante che fa vibrare l'aria intorno e il suolo, le pareti, la cattedra, le sedie, le ossa. Con un terremoto. È un terremoto? E cominciano le prime grida di paura. C'è chi si alza spaventato. L'istinto è subito quello di mettersi al riparo sotto i banchi. Solo che tutto si fa buio. Dura poco, neanche secondi. Forse qualche attimo. Non è il sole che se n'è andato, ma neanche un black out. È una valanga che sta per abbattersi sulla scuola. Solo che quella scuola non è tra le montagne, non c'è neve, anzi, quella valanga non assomiglia nemmeno lontanamente a quelle di neve, è una valanga nera piena di liquami e detriti e sta inghiottendo ogni cosa che intralcia il suo passaggio. Come la Pantglas Junior School, la scuola dove si trova Gaynor e con lei altri 239 bambini. Le mura cadono come fossero fatte di sabbia, le finestre si infrangono, e i vetri esplodono da tutte le parti come proiettili. In quel momento la bambina cerca di alzarsi e correre verso la porta, ma viene inghiottita anche lei, come tutto il resto della classe e della scuola. C'è una cosa Gaynor ricorda ancora oggi: il braccio di un bambino della classe accanto che era passato da una fessura del muro ed era rimasto sospeso e lei che lo teneva gli dava dei pizzicotti, sperando che quella piccola mano si muovesse, cosa che però non è successa. Viene recuperata dalla melma. Una persona la tiene in braccio perché non può camminare. Le sue gambe penzolano e non reagiscono per via delle fratture. Intorno a lei, all'esterno della scuola, è pieno di sirene, ambulanze, genitori, persone che corrono da una parte all'altra urlando nomi di bambini. Alcuni li riconosce, sono i nomi dei suoi compagni di classe. Presto Gaynor viene trovata dalla mamma. Racconta che appena la madre la vide che era ok, che era viva, ed era soprattutto fuori dalla scuola si è subito messa alla ricerca degli altri figli, Carl e Marylyn di sette e dieci anni. Ma quando li ritroverà per loro sarà troppo tardi. Sono già morti soffocati dalla valanga. Gaynor è una dei quattro sopravvissuti della sua classe, composta da 34 bambini. Un altro, Jeff, racconta che quando è stato inghiottito dalla valanga, seppellito da tonnellate di pesante sostanza nera, è rimasto intrappolato in una sacca d'aria che gli ha permesso di respirare e non morire soffocato. Ricorda la testa di una sua compagna di classe morta, appoggiata alla sua spalla. Dice: “Il suo viso era gonfio e gli occhi le affondavano profondamente nella testa. L'immagine di quella bambina mi è rimasta impressa per anni”. Jeff è l'ultimo della classe a venir estratto vivo alle 11:15, quasi due ore dopo l'incidente. Per due ore sente le urla di alcuni bambini seppelliti come lui. Urla che però gradualmente, con il tempo, una ad una, cessano. La morte di 116 bambini e 28 adulti in una piccola cittadina di 5000 abitanti sconvolge il Galles e tutta la Gran Bretagna. I media ne parlano per settimane. L'opinione pubblica e le istituzioni non fanno che discutere sul come e perché sia potuto accadere un incidente simile. E tra il trauma, la rabbia, le teorie, le polemiche, la frustrazione, dentro la testa di tutti c'è una sola domanda. “Si poteva evitare?” La tragedia che sto per raccontarvi ha reso necessari dei cambiamenti per rendere più sicuri i centinaia di paesi e cittadine che sorgono vicino alle miniere. Cambiamenti che hanno impedito a una tragedia di questa portata di capitare ancora. Ancora oggi le voci dei sopravvissuti e di chi ha seguito il disastro sono unanimi. “Non vogliamo un'altra Aberfan”. Ogni secondo, in ogni città, Paese, in ogni terra o addirittura nel cielo, accade un numero infinito di eventi. Poi però ne accade uno che sembra spezzare il flusso, che ci fa restare immobili, col fiato sospeso per interi minuti, ore o giorni. E cambia tutto. Io sono Olimpia e nel vodcast ULTRASTORIE vi racconterò quello che da qualche parte nel mondo ha segnato un prima e un dopo. 1966, Galles. Aberfan è una piccola cittadina di 5000 abitanti. È molto piccola ma, in realtà, se pensiamo a com'era agli inizi a metà ‘800, in confronto nel '66 è praticamente una metropoli. Per farvi capire, quasi esattamente un secolo prima, quando venne scavata la prima miniera lì vicino, Aberfan aveva solo due cottage e una locanda frequentata da agricoltori e barcaioli. Poi, negli anni, la miniera comincia a ingrandirsi, si estrae parecchio carbone e diventa un'occasione per tutte quelle persone che cercano un lavoro e che quindi si trasferiscono nei pressi del cantiere. Indovinate dove? Proprio ad Aberfan. Era una cosa comunissima in Gran Bretagna, durante la rivoluzione industriale, attorno alle miniere nascevano villaggi e cittadine e, come vi dicevo, Aberfan è proprio tra queste. Ma anche se capitassi di là per caso e non sapessi nulla della sua storia, ti accorgeresti subito che là vicino c'è una miniera. Perché? Perché nel verde della valle noteresti immediatamente i cumuli neri. Sì, alte e inquietanti montagne di detriti neri che si stagliano sulla città e che arrivano anche a superare i 30 metri. Cosa sono? Allora, avete presente quando da bambini facevamo le buche sulla sabbia? Scavando la parte di sabbia che viene rimossa, si accumula vicino al buco formando delle montagnette. Ecco, il processo di estrazione del carbone funziona più o meno così. Quando si estrae il carbone non si estrae solo il carbone, ma anche un'elevata quantità di sottoprodotti di scarto polvere, ghiaia, terra. Tutti questi vengono addossati insieme in una sorta di discarica subito fuori la miniera. Sulle colline sopra Aberfan ci sono sette discariche. Alcune di queste, e tenetelo bene a mente, sono posizionate sopra delle sorgenti naturali sotterranee. La discarica più vicina alla città è la settima. È l'unica attiva quell'anno ed è stata iniziata nel 1958, otto anni prima. È gigante, arriva ad un'altezza di 34 metri e contiene migliaia di metri cubi di rifiuti. Vi mentirei se vi dicessi che i cittadini di Aberfan non hanno assolutamente mai avuto problemi con queste grandi discariche. Tutt'altro. Negli anni mandano numerose lamentele all'azienda proprietaria della miniera, la NCB, National Coal Board, un'azienda dello Stato. Le principali polemiche riguardano il fatto che i detriti della discarica bloccano le fogne causando allagamenti in città e che la settima discarica si trova esattamente sopra la scuola, la Pantglas Junior School. E il fatto che siano preoccupati è molto comprensibile. Nel 1944 parte dei detriti di uno dei cumuli era scivolato verso la cittadina, fermandosi a soli 150 metri dalle prime case. Ma in generale negli anni avvengono altre piccole valanghe, minori ma comunque preoccupanti. In tutto questo la NCB non prende nessun provvedimento e la vita continua a scorrere placida nella piccola cittadina di Aberfan fino al 21 ottobre, Fino al 21 ottobre. Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre, il cumulo sette si sposta di tre metri. Alle 07:30 di mattina gli operai notano questo spostamento e danno la colpa alle piogge che ci sono state negli ultimi giorni. Lo riferiscono al supervisore e lui dice loro di fermare il lavoro per quel giorno. Allora, già di per sé nel Galles piove spesso, ma da inizio ottobre Aberfan viene colpita da continue, violente, torrenziali piogge. Per non parlare poi di quella settimana. Ci sono stati momenti in cui sembrava non finire mai e i cumuli hanno assorbito tutta quell'acqua, dalla prima all'ultima goccia. C'è un altro problema però. Poco fa vi ho detto che alcune delle discariche, in particolare la quattro, la cinque e la sette, sono posizionate sopra delle sorgenti naturali, quindi sopra dell'acqua. Quindi non proprio una base stabile e a norma. Le piogge da un lato e dall'altro le sorgenti naturali interne rendono i cumuli, in particolare il sette, quasi come delle montagne costituite da una sostanza che è a metà tra il liquame e le sabbie mobili. Montagne pronte a spostarsi e a scivolare da un momento all'altro. E quel momento arriva 2 ore dopo che il responsabile della NCB dice agli operai che quel giorno è meglio interrompere i lavori. Cioè, quando nella classe di Gaynor e Jeff, l'insegnante di matematica sta facendo l'appello. Il cumulo sette semplicemente inizia quasi a sciogliersi. 140.000 metri cubi di rifiuti iniziano a scivolare per la collina in direzione del villaggio, arrivando a una velocità di 34 km/h. Come una valanga devasta e inghiotte tutto quello che incontra. Il tutto avviene in una manciata, una manciata di minuti. In una manciata di minuti scende, si abbatte sulla scuola, su delle case e si ferma solidificandosi all'istante. Molti testimoni raccontano che nei secondi subito dopo che la valanga si è fermata, un silenzio inquietante di morte si è impossessato della valle, per poi essere subito rotto dalle urla strazianti dei genitori che hanno visto la scuola dei propri figli fatta a pezzi e ricoperta di quella melma nera. Ancora prima che arrivino i soccorsi gli abitanti di Aberfan si sono messi tutti a scavare, trovano corpi ovunque e sono quasi tutti di bambini dai sette ai dieci anni. Alcuni sono vivi, anche se feriti e traumatizzati. Altri non hanno resistito alla forte valanga e sono morti o per asfissia o per fratture alla testa e nel resto del corpo. All'interno della scuola vengono trovati anche cinque adulti, insegnanti o membri del personale e alcuni sono morti cercando di proteggere gli alunni, come Nansi Williams, l'addetta alla mensa, che ha usato il suo corpo come scudo per proteggere cinque bambini che alla fine sono riusciti tutti a sopravvivere proprio grazie a lei. O il vicepreside Dai Beynon, che ha cercato di utilizzare una lavagna per proteggere se stesso e cinque studenti. Purtroppo però, sia lui che tutti i 34 alunni della sua classe sono morti soffocati o schiacciati dal liquame. Ivonne Prince, una poliziotta che ha partecipato ai soccorsi, racconta alla BBC di un preciso momento che si porta dietro da tutta la vita, probabilmente uno dei peggiori che ha vissuto in quel disastro. I corpi dei bambini, sia vivi che morti, venivano estratti e portati fuori attraverso una catena umana di persone che se li passava a vicenda. Quando ha passato un bambino all'uomo che aveva a fianco, lui lo ha guardato poi l'ha guardata e ha detto con voce spezzata “Era mio figlio” e poi l'ho passato alla persona a fianco, continuando ad aiutare nei soccorsi. Nelle ore subito dopo il disastro Aberfan si riempì di volontari da tutto il Paese: soccorritori, minatori, esperti, forze dell'ordine. Chiunque può dare una mano va ad Aberfam e man mano che passa il tempo aumenta il conteggio dei corpi. Gli ultimi sopravvissuti vengono estratti 2 ore dopo il disastro. Dopo di quelle ci sono solo cadaveri. Molti di questi vengono posizionati in una cappella che si riempie così tanto che è permesso solo a una persona, massimo due, per lo più genitori, di entrare per il loro riconoscimento. La mattina del 21 ottobre la valanga nera uccide 144 persone, di cui 116 bambini. La tragedia di Aberfan, questa minuscola città del Galles, risuona come un'eco tragica in tutta la Gran Bretagna. Per farvi capire la portata del disastro, la Regina Elisabetta II va ad Aberfan il 29 ottobre per rendere omaggio ai morti e come lei lo fanno anche altri membri della famiglia reale. I media non fanno che parlare di Aberfan, le persone non fanno che parlare di Aberfan, ma di tutto quello che si dice, che si teorizza, si specula, che si critica c'è una domanda che risuona nella testa di tutti, soprattutto in quella delle famiglie delle vittime: Tutto questo era evitabile? Lord Robens, presidente della NCB, nella sua prima dichiarazione immediatamente dopo l'accaduto, dice che l'azienda “non vuole nascondersi dietro scappatoie legali” ma che anzi avrebbe collaborato con le autorità. Allora parte fin da subito un'inchiesta e poi un processo vengono sentite 100 persone, esaminati 300 reperti e diciamo che non si tarda molto a capire cosa sia andato storto. La combinazione di due fattori. Il primo: il fatto che il cumulo fosse posizionato su delle sorgenti naturali, quindi l'acqua si infiltrava internamente rendendolo instabile. Il secondo: le intense e continue piogge che sono state assorbite dal cumulo. Due fattori che l'hanno reso una montagna liquamosa. Lord Robens nega. Nega di essere mai venuto a conoscenza delle sorgenti naturali. Sostiene che non fosse proprio possibile per l'azienda sapere “cosa accadesse dentro la Terra”. Ma l'inchiesta approfondisce anche le lamentele che gli abitanti della cittadina avevano fatto alla NBC negli anni passati. Il fatto che non fosse la prima volta che delle discariche si spostassero e che anzi proprio la sette nel 1963, quindi tre anni prima, si era già spostata per ben due volte. Ma la anzi NBC aveva rassicurato gli abitanti dicendo che si trattava solo di uno spostamento superficiale e che la discarica al suo interno se ne stava bella solida e ferma. Alla fine tutta la responsabilità viene attribuita alla National Coal Board. Viene sentenziato che l'azienda non poteva non sapere e che le 144 morti sono il risultato di un grave, gravissimo atto di negligenza. Però, nonostante questo, nessuno viene condannato, punito, licenziato, niente. E anzi la NCB si rifiuta di finanziare tutti i lavori di pulizia dei danni della valanga. I cittadini di Aberfan sono costretti a mettere una parte 150.000 sterline, l'equivalente di circa 180.000 euro, prelevandola dal fondo che era stato inaugurato il giorno della tragedia per sostenere la cittadina, i sopravvissuti e le famiglie. In moltissimi, dopo l'incidente, sviluppano problemi di salute e metà dei sopravvissuti comincia a soffrire di disturbo da stress post-traumatico che li accompagnerà per il resto della loro vita, come nel caso di Janice Evans. A inizio anni 2000 il suo caso ha anche abbastanza rilievo nei giornali nazionali. Jance ha lavorato per 30 anni in un'industria di tabacco, 30 anni in cui dichiara “non si è mai presa neanche un giorno di assenza”. Poi però il responsabile le cambia il turno facendola lavorare di notte. Lei ci prova per sei mesi, ci prova, ma racconta “E' stata una vera miseria. Avevo incubi e non riuscivo a mangiare né a dormire.” Janice capisce che non può lavorare di notte perché le fa ricordare il trauma di quel 21 ottobre, quando, mentre camminava in strada con un amico, è stata investita dalla valanga nera e lei è sopravvissuta ma il suo amico è morto davanti ai suoi occhi. L'azienda allora, di fronte a questo suo rifiuto, l'ha licenziata ed è scoppiato lo scandalo. Alla fine, comunque, la situazione si è risolta in via extragiudiziale e i termini sono confidenziali. Ma Janice è solo uno dei tanti esempi che potrei fare. C'è anche Jeff che spiega di come non sia mai riuscito a sposarsi né ad avere figli per via del trauma vissuto e che al termine di un'intervista se ne esce fuori con una constatazione molto inquietante. Dice: “Se sommi la data del disastro: 21, il giorno. 10, il mese. E 19 e 66 per l'anno. Il risultato è l'esatto numero di bambini morti 116”. Ok, ma tutta questa storia cosa ha cambiato? Una delle urgenze del Paese è stata fin da subito fare in modo che una cosa del genere non potesse più capitare. Come? Tra le altre cose, come migliorare i controlli di sicurezza delle discariche attraverso nuove figure, regolamentando la gestione degli scarti delle miniere. Per questo la NCB, con un ministero, ha finanziato con più di 50 milioni di sterline studi sulla stabilità delle discariche delle loro miniere. E nel 1969 viene aggiornato l'Atto delle miniere e delle cave. Un atto risalente al 1954 che però nella sua prima versione non teneva in considerazione le discariche. Le modifiche hanno tra gli obiettivi fare in modo che i cumuli di rifiuti delle miniere non siano una minaccia per i civili. Il disastro di Aberfan continua a vivere nelle menti di chi, in Gran Bretagna si occupa della sicurezza nell'ambito del territorio. Solo nel 2023 è stata fatta una mappa che individua nel Galles meridionale 350 vecchi cumuli pericolosi che mettono a rischio le cittadine vicine e che devono essere costantemente ispezionati e monitorati. La volontà collettiva è unanime. “Non vogliamo un'altra Aberfan”. Noi ci vediamo giovedì prossimo con una nuova ultrastoria. Puoi trovare il vodcast ULTRASTORIE nelle principali piattaforme di streaming e YouTube.