“IL LASCITO MIGLIORE DI ENRICO BERLINGUER? LA NIPOTE! CATERINA CORBI, 26 ANNI, DIPLOMATA AL CORSO DI RECITAZIONE DELL'ACCADEMIA SILVIO D'AMICO, RICORDA NONNO ENRICO (CHE NON HA MAI CONOSCIUTO): “PENSAVO CHE FOSSE UNA SORTA DI INGEGNERE E AVESSE INVENTATO LA SCALA MOBILE. ERA TUTT'ALTRO CHE TRISTE. IN FAMIGLIA LO RICORDANO PER QUEL MISTO DI ALLEGRIA E INCOSCIENZA CON CUI SPAVENTAVA GLI AFFETTI PIÙ CARI, SOPRATTUTTO DURANTE LE VACANZE IN SARDEGNA – A SCUOLA AI PARIOLI C'ERA CHI MI CHIAMAVA ZECCA E COMUNISTA. MA LE HO SEMPRE CONSIDERATE BAMBINATE” – E SULL'ATTENTATO IN BULGARIA…
Per tantissimi anni, sin da quando da adolescente ho cominciato a ricostruire la figura politica di mio nonno Enrico, ho sempre evitato di guardare le immagini dell'ultimo comizio. La ferita di quel dramma è ancora aperta per tutti, a casa. Come se questi quarant'anni non fossero mai passati, insomma, come se questa tragedia fosse appena accaduta. Come se fosse successo ieri. Per mia mamma, per i miei zii, per tutti noi.
Tutte le volte che su Internet ho iniziato a guardare un video sulla sua storia, ecco, immancabilmente, quando si arrivava al momento di Padova, alle sue ultime parole da vivo, spegnevo tutto. La prima volta che ho visto qualche frammento di quel comizio è stato nel film di Walter Veltroni, Quando c'era Berlinguer, in cui comunque si vede pochissimo. Poi, l'impatto visivo con quel dramma che per molti è stato un dramma collettivo ma che per me era e rimane una ferita familiare, c'è stato da poco, con Prima della fine, il documentario di Samuele Rossi che ricostruisce gli ultimi sette giorni di vita del nonno. Lì ho visto, per la prima volta.
Caterina Corbi, figlia di Maria Berlinguer e di Alessandro, ha ventisei anni. È nata quattordici anni dopo quei tragici giorni del giugno 1984 in cui i comunisti e l'Italia intera dovettero senza preavviso prepararsi alla scomparsa di suo nonno, Enrico, terz'ultimo segretario del Partito comunista italiano ma primo in assoluto, ancora oggi, nel sacrario politico-sentimentale della sinistra.
Diplomata al corso di recitazione dell'Accademia Silvio d'Amico, c'era anche lei quando una sera, a casa sua, Elio Germano e il regista Andrea Segre sono entrati «con grande delicatezza e grande rispetto» – dice – per raccontare il progetto che poi è diventato il film Berlinguer-La grande ambizione, presentato di recente alla Festa del cinema di Roma. Ha accettato la proposta di recitare in una piccola parte del lungometraggio, prestando il volto e la voce a una delle migliaia di donne comuniste che nel 1974 avevano cambiato il segno della campagna referendaria sul divorzio.
Quando ha iniziato a capire chi era stato suo nonno Enrico? «Da bambina avevo una maestra che, una volta capito chi fossi, me ne parlava con grande trasporto. “Tuo nonno, Caterina, tuo nonno…”. Ovviamente non capivo a cosa si riferisse, non potevo capire. E poi? Poi un giorno andammo, cosa che facevamo sempre, a una delle tantissime iniziative che il partito organizzava per commemorare la figura di Enrico Berlinguer. Non capivo ovviamente quasi nulla ma quella volta una cosa la capii.»
Che cosa? «Scala mobile. Parlavano del nonno e ripetevano sempre scala mobile». L'adeguamento dei salari al costo della vita. Il cui taglio voluto dal governo Craxi e il successivo referendum voluto da Berlinguer e poi perso dal Pci un anno dopo la sua scomparsa segnarono il punto più basso della frattura tra comunisti e socialisti nella storia della sinistra italiana.
Diventata più grande, cosa rappresentò per lei girare per Roma o frequentare le scuole con la consapevolezza che gli altri sapevano che era la nipote di Enrico Berlinguer? «Sono nata e cresciuta nel quartiere Parioli, storicamente un quartiere di destra. Ho il ricordo di compagni di classe che inneggiavano al fascismo e al nazismo. Più avanti negli anni, alcuni compagni mi davano della “zecca”, della “comunista”, come se fosse un'offesa». Traumatizzata? «Non gli ho mai dato peso, le consideravo poco più che bambinate. Uno di questi compagni, dopo, è diventato un mio caro amico». Mai rapita dalla passione politica? «Costantemente come cittadina. Ma ho sempre pensato, e lo penso ancor oggi dopo il diploma all'accademia, che la mia ambizione dovesse coincidere col mio sogno: fare l'attrice. La politica prevede una sorta di chiamata, simile alla vocazione; la mia è un'altra».
Il ricordo di suo nonno riflesso nei racconti di famiglia? «Quello di un uomo allegro. Ancora oggi, basta evocarlo, parlare di lui e la tavolata si scioglie in un sorriso. Come se fosse in grado, a quarant'anni e passa dalla sua scomparsa, di regalare armonia». L'immagine pubblica votata al massimo del rigore e della sobrietà generarono l'equivoco che Enrico Berlinguer fosse un uomo triste, cosa che tra l'altro lui smentì pubblicamente rispondendo a una domanda diretta di Giovanni Minoli in una celebre intervista a Mixer. «Era tutt'altro che triste, infatti. In famiglia lo ricordano per quel misto di allegria e incoscienza con cui spaventava gli affetti più cari. Ad esempio, soprattutto durante le vacanze in Sardegna, arrampicandosi ovunque fosse umanamente possibile arrampicarsi. Rocce, scogli, ovunque… E poi c'era il mare, quelle uscite in barca a vela da solo, soprattutto quando il mare era forte e avrebbe consigliato maggiore prudenza. Non era proprietario di una barca ma a Stintino averne una a disposizione non era difficile per nessuno».
Macaluso era stato l'unico depositario della rivelazione sull'attentato subito in Bulgaria nel 1973, pur non facendo parte della sua corrente. «Sapevano in due. Lui e mia nonna. La storia dei comunisti italiani è fatta di gente che sapeva scegliere bene le persone a cui affidare una confidenza o un segreto perché lo custodissero come doveva essere custodito».
Quella storia, secondo lei, ha degli eredi ancora oggi? Dal punto di vista di una nipote nata troppo tardi per conoscerlo, esiste l'eredità politica di Enrico Berlinguer? «Per forza. Quella è una storia fatta di giustizia sociale, di democrazia, di solidarietà, della difesa del lavoro e di un patrimonio di diritti che non può assolutamente essere disperso. Perché parliamo di cose che sono irrinunciabili anche oggi. Soprattutto oggi». Ha finito di ricostruire i tragici fotogrammi di come la sua famiglia visse la tragedia di Padova, l'agonia di suo nonno, la fine, i funerali rimasti nel racconto collettivo della nostra storia? «Ho iniziato. So che mia nonna partì la notte stessa in macchina alla volta di Padova. E che mia mamma e le zie si mossero l'indomani, in aereo. Quanto ai funerali…» Sì? «Quei funerali, per noi, sono i funerali di un padre, di un nonno. Ma la storia, la vicenda umana e politica di Enrico Berlinguer, quello che ha fatto, sono cose di tutti. E noi siamo contenti che sia, quarant'anni dopo, ancora così».