“Il professore mi mise le mani addosso a lezione”: la testimonianza dell'attrice Barbara Giordano
La testimonianza dell'attrice Barbara Giordano
Sono Barbara Giordano, un'attrice che racconta per la prima volta una storia che mi è accaduta quando avevo la vostra età. Magari fosse facile riconoscere il cattivo della storia alla prima occhiata, ma nella vita reale, raramente è così. Il mio professore aveva un aspetto inaspettato, non aveva nulla di simile all'immagine del lupo. Era una persona sociale, faceva teatro nelle carceri e aveva un'immagine perfetta. Era durante una lezione individuale, eravamo solo io e lui in una stanza, quando all'improvviso mi ha infilato la mano sotto i vestiti.
Io non sono più riuscita a muovermi, sono rimasta pietrificata, apparentemente la lezione continuava a svolgersi. Normalmente, ero in piedi, guardando il muro davanti a me, mentre lui mi dava indicazioni su come dovevo dire le battute. Ma lui continuava a toccarmi, mi parlava di emissione vocale di gestione, lo faceva con naturalezza, come se tutto quel che stava facendo al mio corpo fosse parte dell'esercizio.
Ho pensato alla scena dei film in cui la protagonista vede che sta per essere investita da una macchina, ma non si muove, non riesce a spostarsi per mettersi in salvo. Quelle scene mi sembravano incredibili, non era logico che non si spostasse. Ma accade, accade quasi sempre, il cosiddetto “freezing”. Il corpo si blocca, come se fosse congelato, mentre la mente registra tutto, ma come se non fossi lì, come se stessi guardando la scena attraverso la lente di un sogno o di un incubo.
Mai avrei pensato che quella mia reazione, o meglio, non reazione, potesse essere scambiata dagli altri per complicità di quel schifo. In tanti non mi hanno creduto, persone che vivevano la scuola come me, compagne di corso, studenti. Hanno detto che il professore non poteva aver fatto una cosa del genere, era troppo rassicurante, era una bravissima persona.
Dopo la lettera scritta dai studenti per difendere il professore, ho cominciato a dubitare di quello che avevo subito. Mi si sono attaccate all'orecchio parole come “io sono libera di non crederti, libera di non credermi”. E alla fine, anche io ho cominciato a dubitare di quello che avevo subito.
La violenza sulle donne è l'unico reato in cui viene chiesto a chi ha subito l'abuso di dimostrarlo. La responsabilità della violenza ricade su chi l'ha subita, come se l'avesse scelto, come se se la fosse cercata. Quand'una donna denuncia viene accusata di averlo fatto per interesse, noi attrici in particolare veniamo accusate di averlo fatto per ottenere visibilità, per interessi.
Il trattamento che viene riservato a chi un abuso è molto edificante, glorioso, battute fuori luogo, ritorsioni lavorative, insulti, messa in discussione della propria credibilità. Ma il motore che muove la denuncia di un abuso della maggior parte delle donne è che nessun'altra debba subire lo stesso schifo.
Oggi, quasi finito, io sono una donna adulta, una professionista come desideravo, e mi dispiace tanto aver dubitato di me quando ero giovane. Adesso, sono diventata un'attivista per i diritti delle attrici e delle donne, e la prima cosa che penso che mi viene da dire, e che dico a me stessa e a chiunque mi racconti di aver subito anche la più apparentemente piccola molestia, è: “Io sono libera di crederti, io ti credo”.