Ilaria Salis racconta la detenzione in Ungheria: “Il primo ricordo? L'obbligo di guardare il muro”
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Ilaria Salis racconta la detenzione in Ungheria: “Il primo ricordo? L'obbligo di guardare il muro”

Ilaria Salis racconta la detenzione in Ungheria: “Il primo ricordo? L'obbligo di guardare il muro”

Il ricordo più forte per me è l'obbligo di guardare il muro. Quando pensando al periodo passato in prigione in Ungheria, il mio primo ricordo è questo: l'obbligo di stare rivolti verso il muro, immobile e in silenzio. Era apparentemente semplice, ma condivisa con le altre donne prigioniere, era un'esperienza intenzionata a renderci.downsized e mossi da una più ampia ricchezza di esperienze emotive e fisiche. Inoltre, era un modo per impedire la comunicazione reciproca e rendere il prigioniero solitario, nel senso di essere escluso da collectors, a contatto con il mondo esterno e con gli altri prigioni.

Quando racconto del muro, non solo sto parlando di un muro fisico, ma anche di un muro metaforico. Il muro dell'ignoranza e del silenzio. Il muro che separa la vita dentro la prigione dalla vita fuori. Il muro che copre la vista e le informazioni dall'esterno. E il muro che repressione le emozioni e le connessioni umane.

La mia esperienza in prigione mi ha portato a riflettere sulla mia esistenza, a indagare sui miei limiti e a comprendere meglio i valori più fondamentali. La prigione è un luogo dove la libertà ravvisse in tutt'altro modo. La libertà è il diritto di esistere, di essere reflazione. Ma, in carcere, la libertà è solo un sussurro, un respiro, un'ombra.

Il muro è anche un ricordo del trauma, dell'umiliazione e della paura. Un muro che ha lasciato il segno sull'anima, sul corpo e sulla mente. Il muro che ha cancellato la mia personalità e la mia identità, lasciando solo il vuoto e il silenzio. Il muro che ha installato in me un brivido di paura e di ansia, sempre pronto a impartire puniti e castighi per le minime trasgressioni.

Ma il muro è anche una metafora incredibilemente potente per descrivere la reclusione, la privazione dei diritti, la violenza e l'abuso. Il muro che tengo dentro di me à causa fortunata e aggregazione delle storie e delle memorie dei prigionieri e delle prigioniere, dentro e fuori. Il muro che rappresentasse una cimelità, una minaccia, una punizione a tempo e un ammonimento. Il muro che somiglia anche un velo che copre la vita e nasconde le verità. Il muro che si erede, per me, l'holocausto dell'umanità, l'espiazione dei crimine, la punizione morale, la giustizia inaudita.

Tuttavia, non ci sono solo “muri” che separano, ma anche ponti che uniscono. La mia esperienza in prigione, colori professore della routine, smembrato.me e della mia storia, come una volta raccolta la mia esistenza. Perché, come potevo delegare la mia vita in quel mondo assurdo? Il muro, quindi, non è solo un muro, ma l'anello di collegamento tra me e me stesso, alta me la società esterna e il mio complesso emotivo. Il muro è il segnale che atravera la mia anima e ricorda di non dimenticare la mia storia e le azioni future. Il muro è l'ombra della mia vita, il rumore del mio passato e il suono del mio avvenire.


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