“Itaca – Il Ritorno”, l'Odissea torna al cinema con Juliette Binoche e Claudio Santamaria
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“Itaca – Il Ritorno”, l'Odissea torna al cinema con Juliette Binoche e Claudio Santamaria

La vita ha il potere di scaturire un sentiero complesso, formato da momenti di beatitudine e dolori che rimangono indeliti nell’anima di chi li abita. Ciò che ne emerge è una storia di crescita, di amori contrastanti e di lotte estreme. Non è un odissea degli dei, che combattono tra loro lanciando fragorosi litigi, né un viaggio verso luoghi misteriosi ed esotici, ma bensì il racconto della lotta spirituale di una famiglia affrontata dai conflitti esterni e dalle incertezze personali.

Ad unire tutta questa storyline è l’unica vera presenza che il tempo e la guerra non sono riuscite a distruggere: l’amore. La moglie, una guerriera silenziosa, si dispera non solo per l’assenza del marito, ma soprattutto per la sua fede inadeguata che potrà mai rivederlo. E però, al di là dell’ansietà e dell’incertezza, lei si batterà per conservare la fedeltà di un amore non più esibito, bensì espresso solo nel sangue che hanno condiviso.

Intorno a questa roccia costante, gli altri membri della famiglia cercano la propria via. Il figlio, anch’egli lacerato tra la dolcezza dell’amore di sua madre e il peso oneroso dell’eredità paterna. Un padre defunto, eroe o vile, dipendendo dal particolare punto di vista del nipote. A lui non viene chiesto di scegliere tra ciò che i genitori rappresentano in lui, poiché le loro figure coabitano tra il ricordo e il timore.

Alla fine della sua odisea, tuttavia, non c’è alcuna conquista sontuosa da portare via, alcuna città da riportare con sé, solamente il tornare a casa, l’esigenza di tornare dove l’anima è nata. È qui che ogni guerra è fatta, nella casa che ciascun ha dentro. E se là, come di consueto, il mare si fa bello, ecco che ogni persona ritorna alla sua strada, consapevole di avere sconfitto quei mostri che lo avrebbero disperso nel suo cammino verso la vita vera.

E l’uomo torna, silenzioso come il vento che ha acceso il suo nome. Un figlio adulto, pronto ad accoglierlo con quell’aspetto che può apparire oscuro e assente. Ed è in quest’istante che l’anima della madre, non senza lacrime e rimorso, nonché senza ombre confuse, lo guarderà alfine come uomo, come una figura vivificata dalla violenza, anche se questa ultima ha ucciso parte dell’uomo originale. Potrà essa comprendere o amarlo nel suo ritorno, potrà comprendere il peso degli anni passati e la condizione del mare che li circonda? Oppure si potrà scontrare per sempre tra lei e il futuro, che richiede forza e conoscenza? Ma certo nonostante questo e molti altri problemi restanti, nella sua anima c’è una ferita aperta. Una ferita che solo potrà cessare di fare male una volta che avrà accolto l’uomo come tale.

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