la storia della pallavolista martina morandi, affetta da disturbi dell’apprendimento che…
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la storia della pallavolista martina morandi, affetta da disturbi dell’apprendimento che…

La pallavola: salvatrice per la giunzione di un’Italia che ha battagliato contro la dislessia

Martina Morandi, la giovane giocatrice di pallavolo che ha esordito nella serie A con la squadra Eurotek Uyba Busto Arsizio, racconta la sua storia attraverso una lunga fatica e l’impatto positivo dell’attività sportiva.

La dislessia non è stata una meta del suo quotidiano a scuola, con compagne che l’hanno chiamata “stupida” e professore che le prendevano in giro perché faceva fatica a leggere ad alta voce e a pronunciare le parole correttamente. “I miei compagni mi dicevano ‘non ci arrivi alle cose’, ‘se hai bisogno delle mappe concettuali allora sei, tra virgolette, stupida’. Era terribile”.

Con dislessia e disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) che la caratterizzavano, la crescita di Martina era lontana dalle amiche e dal normali gruppi di studio. Lavorava solo per assorbire il minimo possibile, sentendosi più una persona “non dentro” rispetto al gruppo.

Iniziò a giocare pallavolo quando aveva solo dieci anni. Era un esempio datole dalla sua neuropsichiatra che ritenne necessario portare la giovane almeno a praticare un sport di squadra, per aiutare la sua autoanalisi. E così fece: in campo la sensazione di pace e quiete era completa.

“Allenare, significa gestire le paure”, ripete Martina Morandi. “Se aveste un giocatore dislessico, avresti bisogno di stare attento, ascoltare il suono della sua voce”. La pallavolo aiutò a dimostrare alla young e alla sua mente di aver bisogno solo un po’ di diversione, non di aiuti speciali. Martina Morandi riferì “lo sport mi aiutò a pensare che la dislessia non è una malattia, solo fa’ poco più fatica a comprendere”.

Ma gli allenatori di un certo periodo non furono necessariamente all’apice della comprensione delle esigenze del young. “Si può avere bisogno di avere su campo cerchi o strisce colorate. A me aiutano”. La comunicazione divenne essenziale nel suo lavoro e come dislessico la strisciò in parte nella lettura.

Con allenatori più evoluti che hanno capito e tollerato la dislessia, la giostra di Martina si mise in moto. Sennonché, ancora gli era necessario qualcosa in più. “A dire il vero, ha aiutato avere almeno un po’ di severità, un esempio: i suoi errori”.

Adesso si trova su campi di serie A dove un giorno giocarà una partita finale tra Campionesse di pallavolo femminile.

La storia di Martina Morandi non è tanto per la vittoria ottenuta o da per la sconfitta sperimentata. Non sono queste le notizie più interessanti sulla sua carriera o sulla sua battaglia contro la dislessia. Sì è solo la storia che vuol dire “pensa bene, fa poco poco”: la dislessia può essere una “pesantezza” o possono solo essere una maggiore fatica ad attinere, quindi in assoluto. Come conclude Martina: “L’importante non è essere perfetti ma amare e aspettare. Io e altre persone come me vorrei che il mio successo servisse di lezione per i miei ragazzi e le donne future affetti da dislessia”.

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