Lo chef fascista e il menù dell’odio: chi applaude Paolo Cappuccio, e perché dovremmo preoccuparci

Lo chef fascista e il menù dell’odio: chi applaude Paolo Cappuccio, e perché dovremmo preoccuparci

C'è qualcosa di profondamente marcio nel modo in cui parte della stampa italiana ha deciso di raccontare lo chef Paolo Cappuccio. L'uomo, che si è vantato in radio di portare tatuaggi inneggianti a Mussolini e alla svastica, è diventato improvvisamente una figura da varietà estivo. Una macchietta folkloristica a cui porgere il microfono per sentire “cosa s'inventa oggi”.

Ma non c'è proprio nulla da ridere.

Il fatto è che lo chef, già noto per le sue posizioni estreme, ha pubblicato un annuncio di lavoro platealmente illegale: cerca cuochi “non comunisti”, “senza problemi di orientamento sessuale”, bandendo “fancazzisti”, “Masterchef del cazzo” e “soggetti problematici”. A parte la grammatica, ciò che fa accapponare la pelle è il contenuto: una discriminazione multipla su base , sessuale e sanitaria, vietata da qualsiasi legge italiana ed europea, ma che per qualche motivo, questa settimana, è stata trattata come uno sfogo pittoresco da chef “contro il politically correct”.

“Evitate di farmi perdere tempo. Sono esclusi comunisti / fancazzisti. Masterchef del cazzo ed affini. Persone con problemi problematiche di alcol droghe e dì orientamento sessuale.”
– L'annuncio originale di Paolo Cappuccio su

Il nuovo Vannacci della ristorazione?

La parabola mediatica dello chef Cappuccio ricorda quella del generale Vannacci. Anche lui partì con dichiarazioni discriminatorie (contro gay, migranti, donne) e finì con uno stipendio da 15.000 euro al mese e una candidatura . Perché, allora, Cappuccio non dovrebbe sognare lo stesso destino?

Del resto, la destra identitaria si nutre proprio di questo: di gesti eclatanti, di violazioni delle regole spacciate per coraggio, di disumanizzazione trasformata in folklore. E la stampa che fa? Invece di denunciare l'illiceità di un annuncio simile, lo rilancia. Invece di chiedere conto dei suoi tatuaggi nazisti, lo lascia parlare indisturbato in radio.

Se domani Vannacci dovesse organizzare una cena con europarlamentari ECR nel ristorante di Cappuccio, probabilmente nessuno si stupirebbe. Sarebbe solo l'ennesima tappa di una carriera costruita sul dileggio dei diritti umani.


Chi è Paolo Cappuccio

Nato a nel 1977, Cappuccio ha lavorato a lungo tra Trentino e . È stato chef de La Casa degli Spiriti a Costermano (che oggi si dissocia dalle sue parole definendole “inaccettabili”) e della Stube Hermitage a Madonna di Campiglio. Oggi è più noto per i suoi sfoghi social che per le sue creazioni gastronomiche. Sfoghi che, ormai, fanno curriculum: pare che per farsi notare in Italia basti inneggiare al fascismo.

Discriminare non è un'opinione. È un reato

In Italia, però, discriminare non è un diritto di espressione: è un reato. E selezionare personale in base a orientamento sessuale o idee politiche viola la Costituzione, lo Statuto dei lavoratori, il Codice delle pari opportunità e persino il buon senso.

Ma qui non c'entra solo Cappuccio. C'entra un intero sistema che lascia impunite queste esternazioni. C'entra un Paese che nel 2025 è ancora al 35esimo posto nella Rainbow Map europea di ILGA-Europe, con un desolante 0% di tutele contro i crimini d'odio e l'hate speech. C'entra l'Italia che nel 2024 si è rifiutata di firmare una dichiarazione UE per promuovere politiche , al fianco di Ungheria e Bulgaria.

I numeri della discriminazione sul lavoro

Il caso Cappuccio non è un aneddoto isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di discriminazioni nel mondo del lavoro italiano, specialmente a danno della comunità . Alcune statistiche, a differenza delle “regole auree” dello chef, sono rintracciabili e raccontano una storia ben diversa:

  • Statistiche Istat 2023: Una ricerca su 1.200 maggiorenni ha rivelato che quasi 4 intervistati su 10 (omo o bisessuali) hanno dichiarato di essere stati penalizzati per il proprio orientamento sessuale in carriera, crescita professionale o reddito.
  • Aggressioni sul posto di lavoro: Circa 3 persone su 10 hanno subito aggressioni o denigrazioni online a causa del proprio orientamento sessuale.
  • Persone trans e non-binarie: Oltre 8 su 10 hanno subito almeno una micro-aggressione sul lavoro, e quasi il 60% ha patito uno svantaggio concreto nella propria vita professionale.

Questi dati mostrano un quadro allarmante di una discriminazione sistemica, ben lontana dalle “fantasie” di Cappuccio su “fancazzisti” e “comunisti”.

Conclusione: l'unico assenteismo è quello delle istituzioni

Alla fine, l'unico vero assenteismo non è quello di chi viene escluso perché gay, comunista o “problematico”. L'unica vera assenza è quella delle istituzioni, della vigilanza, del coraggio civile. È l'assenza della politica, che non interviene. È l'assenza della stampa, che non stigmatizza. È l'assenza della società, che finge di non vedere.

Lo chef Cappuccio non è un caso isolato. È il sintomo di una malattia più ampia, che ha smesso di distinguere tra libertà di parola e istigazione all'odio.

E che, ogni volta che ride a battute come queste, perde un altro pezzo di umanità.

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