Manuela Nicolosi, una pioniera nella storia dell'arbitraggio italiano. Oggi, a 44 anni, è considerata uno dei talenti più conosciuti a livello internazionale. Ma il suo percorso per diventare arbitra non è stato facile, soprattutto a causa dei pregiudizi contro una donna che si occupa di calcio.
Nata nel 1980, Manuela Nicolosi iniziò a giocare a calcio all'età di 15 anni, grazie all'apertura dell'arbitraggio femminile. Dopo uno stop di due anni, si trasferì in Francia, dove viveva da 13 anni. Qui, superò con successo il concorso nazionale per arbitri e iniziò a lavorare come arbitro.
Tuttavia, gli inizi non furono facili. I pregiudizi in campo, tra dirigenti, giocatori e pubblico, si fecero sentire anche in modo pesante. Manuela racconta di aver ricevuto insulti pesanti da parte dei genitori degli atleti, alcuni dei quali erano della sua stessa età. “Ricevevo degli insulti veramente pesanti, specialmente dalle partite iniziali, quando ero completamente sola in campo”.
L'equilibrio tra il lavoro di arbitro e la vita professionale fu fondamentale per Manuela. Sentendo nuovamente il richiamo del campo, superò il concorso con esito positivo e iniziò a lavorare per la Federazione calcistica francese, nella sezione di Parigi.
La sua carriera è stata caratterizzata da un'ascesa continua. Ha raggiunto il prestigioso ruolo di fischietto nella Ligue 1 e, nel 2010, è stata nominata arbitro internazionale. Ha arbitrato una finale di Coppa del Mondo Femminile, due edizioni delle Olimpiadi e 5 tornei Fifa.
Nel 2019, Manuela Nicolosi è diventata la prima arbitra femminile a dirigere una finale europea maschile, la Supercoppa tra Liverpool e Chelsea. Oggi, è commentatrice per DAZN, scelta nella nuova squadra per spiegare i casi da moviola durante le partite di Serie A.
Manuela Nicolosi racconta come gli insulti e i pregiudizi in campo l'abbiano resa a volte impaurita. “Io tre volte ho dovuto chiamare i Carabinieri per uscire dallo stadio. Una volta perché era una finale di Juniores provinciali e i genitori mi hanno minacciata di morte. Siccome c'era la mia famiglia, a vedermi hanno chiamato i Carabinieri perché si sono messi paura. Altre due volte non mi facevano uscire perché mi battevano contro lo spogliatoio e mi dicevano ‘Esci che ti ammazziamo'”.
Nonostante gli ostacoli, Manuela non ha mai mollato. “Ho pensato ‘Adesso mollo' tante volte, volevo proprio smettere. Però avevo un sogno, volevo essere la prima italiana ad arbitrare la finale della Coppa del Mondo femminile, perché quando sei donna il tuo obiettivo è solo nel calcio femminile internazionale. E poi dopo la realizzazione del sogno è arrivato addirittura il campo maschile”.
Oggi, la situazione per le giovani ragazze che vogliono diventare arbitre è migliorata e sono sempre di più gli esempi da seguire. Manuela spiega che serve una forte determinazione e una grande preparazione atletica e tecnica. “Oggi abbiamo una terna femminile quindi la possibilità c'è. Ritengo che magari la difficoltà è più da un punto di vista atletico, quindi devi dimostrare di essere veloce come gli uomini e di saper mantenere una condizione fisica che te lo permetta, oltre alla parte tecnica”.
Manuela Nicolosi è un esempio di determinazione e forza di volontà, che ha superato i pregiudizi e gli ostacoli per diventare una delle arbitre più famose al mondo.