Parla uno dei condannati – (Video)
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Parla uno dei condannati – (Video)

Parla uno dei condannati –

“Parla uno dei condannati -, la mia speranza è che venga fatta giustizia, che emergano senza più dubbi la nostra innocenza e la verità su quanto accaduto, non solo per noi, ma anche per le povere bambine. Se si riuscisse a trovare anche il vero colpevole. Io voglio giustizia, ho subito troppo, sono vittima di una grave ingiustizia e desidero che il mio nome venga riabilitato”.

Queste le parole di Ciro Imperante, condannato all'ergastolo insieme a Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca per il massacro di Ponticelli, avvenuto il 3 luglio 1983. I corpi senza vita di Barbara Sellini, di 7 anni, e Nunzia Munizzi, di 10 anni, furono rinvenuti nella periferia di , nel quartiere Ponticelli, in una zona allora utilizzata dalla camorra per corse clandestine di cavalli e come discarica abusiva.

Le bambine erano state seviziate brutalmente uccise e poi bruciate. La ricerca dei loro corpi non ebbe esito positivo fino al giorno successivo, quando intorno alle 15:30, fu fatta la terribile scoperta. Le indagini si rivelarono subito complicate, poiché nessuno sembrava aver visto o sentito nulla.

Una compagna di banco di Nunzia Munizzi dichiarò di aver visto le due bambine a bordo di una Fiat 500 blu la sera del 2 luglio, dopo le 19, vicino a una pizzeria. Il suo racconto fu confermato anche da altri testimoni. Silvana, un'amica delle vittime, raccontò che Barbara e Nunzia le avevano detto di avere un appuntamento con un ragazzo più grande che voleva offrire loro un gelato o qualcos'altro. Questo ragazzo, soprannominato “Gino”, guidava una Fiat 500 verde scuro, era alto circa 1,75, di corporatura robusta, con capelli biondi e lisci, baffetti sottili e efelidi sul viso. Barbara e Nunzia lo chiamavano “Tarzan”.

Le indagini si concentrarono su Corrado Enrico, soprannominato “Maciste” per la sua corporatura robusta, un ambulante che si trovava nel rione incis poco prima della scomparsa delle bambine e possedeva una Fiat 500 blu. Inoltre, le dichiarazioni di Corrado Enrico lo portarono tra i sospettati. Ammise di aver parcheggiato la sua Fiat 500 nella stessa zona in cui erano scomparse le bambine e dichiarò di aver parlato con due ragazzine prima di rientrare intorno alle 17:31. Sua moglie lo contraddice, affermando che era rientrato molto più tardi.

Corrado Enrico dichiarò anche di avere una forte attrazione per i bambini e di comportarsi in modo violento con loro a volte, sotto l'effetto dell'alcool, di cui abusava frequentemente. Nonostante questi gravi sospetti, gli inquirenti non erano convinti del suo coinvolgimento nel duplice omicidio. La sua auto non fu sequestrata e alla fine non fu arrestato.

Con il tempo, Enrico distrusse la Fiat 500 blu, portandola da uno sfasciacarrozze. Nonostante suo cognato avesse espresso interesse a comprarla, la somma di 140.000 lire, che gli avrebbe fatto comodo, non convinse gli inquirenti a proseguire le indagini su di lui.

Vincenzo Esposito, un giovane che il giorno prima del delitto era stato visto chiacchierare con Barbara e Nunzia, inizialmente fornì dichiarazioni false riguardo ai suoi movimenti. Tuttavia, dopo essere stato smentito dai testimoni, ammise di essere stato con le bambine insieme al cognato e successivamente accusò uno dei fratelli La Rocca. Fu arrestato per favoreggiamento e sospettato di essere coinvolto nel delitto sia per l'alibi falso fornito sia per i suoi atteggiamenti reticenti.

Ma alla fine, la sua posizione fu archiviata. La pressione sugli inquirenti aumentò e si decisero a collaborare con Carmine Mastrillo, fratello di Antonella Mastrillo, amica delle bambine scomparse e frequentatore del rione da cui le piccole erano scomparse.

Inizialmente, Carmine Mastrillo non fornì dettagli utili sull'atroce crimine, dichiarando di non avere sospetti da segnalare e di non poter dire nulla di rilevante. Tuttavia, sotto la pressione degli inquirenti, Mastrillo cambiò versione e offrì una nuova ricostruzione dei fatti, secondo cui Ciro Imperante, Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca avrebbero rapito le bambine e le avrebbero uccise tra le 19:30 e le 20:30 per poi raggiungerlo in discoteca e raccontargli l'accaduto.

Queste dichiarazioni rappresentarono una svolta nelle indagini. Il 3 settembre 1983, Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo furono arrestati e accusati del duplice omicidio delle bambine. All'epoca, avevano tra i 18 e i 21 anni e risultavano tutti incensurati. Nonostante le loro reiterate dichiarazioni di innocenza, furono condannati all'ergastolo.

Anche oggi, Ciro Imperante sostiene di non avere alcun legame con la morte delle bambine. “Mi sono trovato all'inferno perché il carcere di Poggioreale dove fui rinchiuso era allora un vero inferno in terra”, afferma. “Ero un ragazzo normale in attesa di entrare nella Guardia di Finanza. Avevo superato il concorso e l'esame, mi dovevano solo chiamare. Purtroppo, quella chiamata avvenne il giorno dopo il mio arresto, quando ormai ero considerato uno dei tre mostri che avevano ucciso Barbara Sellini, 7 anni, e Nunzia Munizzi, 10 anni”.

Carmine Mastrillo, chiamato a testimoniare davanti alla Corte d'Assise, tentò di ritrattare le sue dichiarazioni, sostenendo di essere stato costretto a mentire. Tuttavia, non fu creduto dai giudici. I colpevoli dell'orrendo duplice omicidio erano Ciro Imperante, Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca, che furono condannati all'ergastolo.

Dopo 27 anni di carcere, i tre sono stati finalmente liberati nel 2010. Tuttavia, continuano a lottare per dimostrare la loro innocenza. “Credo che la verità potrebbe ancora emergere”, conclude Ciro Imperante. “Se fosse stato un errore giudiziario involontario, si sarebbe trovata una soluzione. Invece, la nostra condanna non fu un errore. Hanno fatto di tutto per incastrarci, ma continuiamo a lottare per dimostrare la nostra innocenza”.


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