Perché il disastro della “nube rosa” di Seveso del 1976 ha cambiato le regole dell'Unione Europea
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Perché il disastro della “nube rosa” di Seveso del 1976 ha cambiato le regole dell'Unione Europea

Perché il disastro della “nube rosa” di Seveso del 1976 ha cambiato le regole dell'Unione Europea


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10 luglio 1976: una nube tossica di diossina fuoriesce da uno stabilimento chimico in Italia, situato tra i comuni di Seveso e Meda, causando gravi danni alle persone e all'ambiente. Più di 700 sfollati, centinaia di case e animali abbattuti, strati di suolo rimossi.

Il disastro di Seveso, chiamato anche l'Hiroshima o la Chernobyl d'Italia, portò alla creazione delle direttive Seveso, delle normative europee per prevenire e controllare i rischi di incidenti industriali rilevanti.

Questa è la decima e ultima Ultrastoria di Fanpage.it raccontata da Olimpia Peroni.
All'inizio la bambina aveva solo del rossore sulle guance, ma poteva essere qualsiasi cosa, no? Lo stress di quei giorni, tutti i cambiamenti che sono arrivati uno dopo l'altro, senza lasciare nemmeno il tempo per realizzare nulla. Poi sono arrivate le prime cisti grosse su tutto il volto, sulle braccia, lungo tutte le gambe e insieme alle cisti, il prurito, il dolore, il pianto, la paura di guardarsi allo specchio, la vergogna, gli sguardi indiscreti, il sentirsi un'untrice o un'appestata. La bambina è piccola, avrà sei, sette anni. I genitori hanno paura che quello che loro figlia ha, qualsiasi cosa abbia, possa essere permanente o addirittura peggiorare. Però in realtà non è la sola. Ci sono altre decine di bambini come lei, decine di bambini che da un giorno all'altro si sono svegliati ricoperti di cisti. Gli esperti dicono che la colpa è di qualcosa che sta nell'aria, non si vede, ma c'è e bisogna evacuare subito la città. Tutte le famiglie devono abbandonare le loro case, i loro averi, devono abbattere o far abbattere i loro animali, i loro cani, i gatti, i compagni di una vita, insomma, ma anche le galline, i conigli e chi tra questi non viene abbattuto è perché è già morto. La cosa strana quando l'aria ha qualcosa che non va è che il più delle volte non si vede, è invisibile. Se andate a casa di una di queste famiglie e vi affacciate dalla finestra, vedrete il giardino, i prati, le casette dei vicini, le campagne, il cielo blu. È la solita cittadina immersa nella solita natura. Se però vi fermaste un attimo a riflettere, in realtà, vi accorgereste che effettivamente c'è qualcosa che non torna. Dove sono i rumori? Dove sono le cicale? È luglio, a luglio le cicale ci sono sempre. Dove sono i merli? I passerotti? E in realtà, se osservi ancora più da vicino le piante e le foglie degli alberi, molte sono secche, ingiallite. Ma oltre il silenzio e le piante secche è tutto normale. E detto tra noi è anche tutto bello, sereno. Perché è estate, quindi perché centinaia di persone devono fuggire dalle loro case? Cosa c'è nell'aria? Quello che sto per raccontarvi ha per protagonisti gli abitanti di un gruppo di piccoli comuni situati nel nord Italia. Comuni che se non siete di quella zona magari non avete mai sentito nominare, ma che, anche se piccoli, hanno spinto l'Unione Europea a cambiare, riguardo a un tema tanto delicato quanto importante. Un tema che ha a che fare con la sopravvivenza nostra e dell'ambiente intorno a noi. Nell'ultrastoria di oggi vi parlo di quella che i media e le persone definirono l'Hiroshima o la Chernobyl d'Italia. Ogni secondo, in ogni città, Paese, in ogni terra o addirittura nel cielo, accade un numero infinito di eventi. Poi però ne accade uno che sembra spezzare il flusso, che ci fa restare immobili, col fiato sospeso per interi minuti, ore o giorni, per poi cambiare tutto. Io sono Olimpia e nel vodcast ULTRASTORIE vi racconterò quello che da qualche parte nel mondo ha segnato un prima e un dopo. Il 10 luglio 1976 è un caldo sabato d'estate, è quasi 12:30 e nelle varie cittadine della Bassa Brianza ci si prepara per il pranzo. Alcuni apparecchiano la tavola fuori perché è una bellissima giornata. Le cicale cantano, gli uccellini cinguettano, le tavole delle famiglie sono spesso numerose perché oltre ai figli ci sono anche i parenti anziani che vivono con loro. Tra un piatto e l'altro messo a tavola, le mamme cominciano a richiamare i figli che stanno giocando all'aria aperta. C'è chi si rincorre, chi con quel caldo preferisce stare sotto l'ombra di un albero a giocare. Ridono, urlano e rispondono ripetutamente alle mamme. “Arriviamo!”, ovviamente senza arrivare mai. Spostandoci un po' più in là con lo sguardo, in particolare al confine tra due comuni, Meda e Seveso, c'è un industria chimica, l'ICMESA. L'ICMESA è di proprietà di un'azienda svizzera, la Givaudan che produce fragranze e profumi. Ed è controllata da un'altra azienda, sempre svizzera, la Hoffmann-La Roche, che invece produce medicinali. L'ICMESA produce diserbanti, fungicidi, bettericidi, cioè tutte quelle sostanze che.ì se hai un giardino compreresti per eliminare le erbacce, i funghi parassiti delle piante e così via. Quel 10 luglio all'ora di pranzo, essendo un sabato, il ciclo produttivo dei reattori chimici, cioè quei grossi contenitori dove avvengono le reazioni chimiche, non è attivo quindi tutto il composto che è al loro interno non viene lavorato. È stato, diciamo, messo in pausa fino a lunedì. Ecco, però, il sistema di controllo del reattore A101, quello che produce un composto, il triclorofenolo, va in avaria. Questo porta alla temperatura e alla pressione all'interno del reattore ad alzarsi tantissimo. Per intenderci, in condizioni normali dentro quel il reattore per produrre il composto la temperatura dovrebbe stare sugli 80°C gradi più o meno, ma in quel momento sale fino a raggiungere i 500°C. Il reattore diventa esattamente come una pentola a pressione e ha bisogno di una valvola di sfogo per disperdere il contenuto che c'è al suo interno, altrimenti l'alta temperatura e la pressione rischiano di far esplodere tutto il reattore, provocando un danno gravissimo. A quel punto si apre una valvola di sicurezza. Si chiama “disco di rottura”, un dispositivo montato sui reattori per evitare che esplodano in casi come questi. La valvola si apre e dovete immaginarvi un getto fortissimo d'aria che fuoriesce dal reattore come in uno sfiatatoio. Un operaio che quel sabato è in servizio racconterà di aver sentito un sibilo provenire dalla zona del reattore A101 e di essere corso a controllare. Resosi conto della situazione, ha azionato subito il raffreddamento del reattore, abbassando così sia la temperatura che la pressione. Però è troppo tardi perché nel frattempo il composto dentro il reattore è in parte fuoriuscito nell'aria. Ma che composto è? Allora vi ho detto che quel reattore produce il triclorofenolo, però portandolo al di sopra dei 156°C si trasforma in TCDD una varietà di diossina particolarmente tossica. Sì, ma quanto tossica? l'Istituto Superiore di Sanità riporta che questo tipo di diossina, la TCDD: “Può causare tumori e danni gravi al sistema nervoso, a quello cardiocircolatorio, al fegato e ai reni. Inoltre riduce la fertilità e nelle donne incinte può provocare malformazioni al feto e aborti spontanei”. E in quel momento, all'ora di pranzo di quel 10 luglio, una quantità che si stima sia tra i 15 e 18 kg si disperde nell'aria sotto forma di una grande nube rosa. Potrebbe restare sopra la fabbrica, ma intanto si alza il vento. So cosa state pensando. Quello che penserebbe qualsiasi persona ragionevole: l'ICMESA, l'industria, ha dato subito l'allarme, no? Ha sicuramente contattato subito sindaci, agenti, persone. Ha individuato le zone contaminate, ha dato informazioni sulla diossina. No, niente di tutto questo. L'industria resta aperta e il lavoro e tutto il resto vanno avanti come se nulla fosse. Vi ricordo, siamo al 10 luglio. Il 14 luglio, quindi quattro giorni dopo, la Givaudan, l'azienda proprietaria effettua delle analisi in Svizzera per accertarsi della dispersione di diossina. I risultati, che danno esito positivo, restano lì, in quei laboratori e nessuno in Italia viene informato fino al 19 luglio, ben nove giorni dopo l'incidente. In realtà ci sono alcuni sospetti. O almeno i primi pensieri che qualcosa non andasse già dal 15 luglio, dopo aver notato che al passaggio di questa nube rosa alcune piante si seccavano e i sindaci di Seveso e Meda, i due comuni, tra cui sta l'ICMESA annunciano il divieto di toccare ortaggi, animali e, in generale, la natura. Il 19 luglio Givaudan ammette ufficialmente la presenza di diossina nella nube rosa. Uno dei più grandi problemi di questo disastro, oltre l'allarme dato nove giorni dopo, è il vento. Il vento fa spostare la nube verso sud, superando i confini di Meda e Seveso, il comune più colpito, toccando quelli di Cesano Maderno, Limbiate e Desio. Vi ricordate durante il lockdown i colori diversi delle regioni? Zona rossa, arancione, gialla, bianca. Ecco, l'approccio è simile. Tutta l'area colpita di questi cinque comuni viene divisa in tre zone: la zona A, che sarebbe la rossa, sta praticamente tutta nel Seveso e comprende una piccola parte a Meda. Poi c'è la zona B e la zona R, cioè “zona di rispetto”. La zona A è quella che subisce le conseguenze più estreme perché è la più intossicata. L'ICMESA, che si trova lì, viene smantellata. Il primo strato di terreno profondo 80 centimetri, quello più a contatto con l'aria e quindi più contaminato, viene e rimosso. Gran parte degli abitanti vengono evacuati, gli animali abbattuti e le case demolite. In totale, tra chi si ritrova la propria casa rasa al suolo e chi ha invece il divieto di entrarci, gli sfollati sono 736. Allora pensate alle persone. Siamo nel 1976. Internet ovviamente non c'è. Ad oggi ci mettiamo 2 secondi a cercare in rete “diossina” per capire cosa sia, gli effetti, i danni, eccetera. A quel tempo potevi solo ascoltare il sindaco, aspettare un comunicato, leggere i fogli affissi in strada, parlare tra vicini, amici di famiglia. Centinaia di persone si sono ritrovate davanti la porta di casa qualcuno che ha detto loro che non potevano più vivere là o che peggio, la casa andava demolita o che i loro animali andavano abbattuti e il tutto senza veramente capire perché. Cioè, tutto, o comunque quasi tutto intorno a loro, era come al solito. Non c'erano danni gravi, evidenti, intorno a loro, come può capitare invece dopo un evento come il terremoto o un'alluvione. In rete ci sono molti che testimoniano quei momenti, gli umori delle persone, la confusione, la paura. Una donna porta un sacco all'autorità facendo la lista degli animali morti che ci sono dentro. Ha la voce parecchio sofferente dice solo: “Un pollo, una faraona… e il gatto”. O ancora un giornalista fa delle domande alle persone che si trovano in fila per prendere i pullman per andarsene dai propri comuni. Lui dice: “È arrivato il momento”. È una donna sull'orlo del pianto, risponde: “Non mi faccia dire niente, per piacere”. O un'altra, sempre con le lacrime agli occhi, gli risponde: “Sono due anni che abito in questa casetta. Era la casa dei nostri sogni. Non mi faccia più dire nulla”. O un'altra e qui la testimonianza mette in luce un po' quello che vi stavo dicendo prima, no? Di non avere abbastanza elementi o abbastanza conoscenza o competenze per rendersi conto della situazione. Una donna fa al giornalista: “Ma lei che ci interroga a noi, Lei ci crede alla diossina? Ci crede che ci sia? La metà di noi è convinto che poteva viverci”. Oppure, sempre in un , viene mostrato il momento di designazione degli appartamenti. C'è un'assemblea di sfollati che si tiene al Motel Assago, dove persone e famiglie vengono smistate in nuovi alloggi. E lì escono fuori un po' tutti quegli asti e simpatie che si provano per i paesi e le cittadine limitrofe. Un video mostra una signora che si occupa di smistare le persone che, seduta davanti al microfono con la sua sigaretta in mano, dice che ci sono venti alloggi liberi a Varedo. Ma, cito: “Alcune famiglie hanno fatto opposizione”. E una donna tra gli sfollati, con tono parecchio polemico esordisce con: “Come ho già detto alla signora io a Varedo non ci vado, potete piangere anche in francese”. E quelli intorno ridono tutti. Un signore racconta di essersi accorto che qualcosa non andava perché non veniva più svegliato alle 04:00 dal, come lo chiama lui, “Concertino di uccelli”. Dice: “Ho avvertito qualcosa del nostro grande creato che scompariva e che da lì potevamo scomparire anche noi”. Ci sono però testimonianze ancora più drammatiche, come le decine di bambini a cui la diossina provoca la cloracne, come raccontavo all'inizio, la comparsa di cisti sul corpo principalmente su tutto il viso e gli arti. Dolore, infiammazione, prurito e, appunto, il pregiudizio, il venir additati come untori. Questa cosa l'hanno subita soprattutto gli sfollati che andandosene in altri comuni, sono stati subito individuati, come “quelli di Seveso”. La cloracne non ha ucciso nessuno dei bambini contaminati, ma molti di questi, ancora oggi, hanno il viso ricoperto dalle cicatrici. O ancora le donne incinte. La paura che la diossina possa provocare malformazioni al feto o aborti spontanei è tanta, perché gli effetti delle contaminazioni sulle persone non sono ancora conosciuti. Però nel ‘76 l'aborto è illegale. Bisognerà aspettare altri due anni per il referendum. Nel ‘76 possono essere fatte delle eccezioni, ma comunque sono più relative al se la gravidanza mette a rischio la vita della madre piuttosto che se la gravidanza può portare alla malformazione del feto. Nel caso del disastro di Seveso viene fatta un'eccezione e 42 donne decidono di interrompere la gravidanza. Nel ‘76 questi aborti sono a lungo argomento di dibattito per l'opinione pubblica e anzi si possono considerare come una delle ragioni principali per cui il dibattito sull'aborto è cresciuto così tanto da portare alla sua liberalizzazione solo due anni dopo, nel ‘78. Per quanto riguarda la mortalità e l'incidenza dei tumori, che è il rischio più temuto, verranno realizzati quattro studi che riscontrano un effettivo aumento di, ad esempio, neoplasie e linfomi, ma anche di, tra le altre, mortalità per malattie circolatorie. Nel 1980, dopo un processo giudiziario e una causa civile, si raggiunge un accordo. L'ICMESA deve pagare quasi 104 miliardi di lire per il disastro, cioè più o meno più di 50 milioni di euro, per lo più soldi destinati alla bonifica. A proposito di bonifica, tutto ciò che era nella zona A, quella più contaminata, è stato distrutto. Quindi case, la stessa ICMESA, il reattore, il primo strato di terreno, i macchinari usati per la demolizione e gli scavi. Tutte le macerie sono state seppellite in delle vasche di contenimento a diversi metri da terra per evitare altre contaminazioni. E oggi sopra quelle vasche sorge un bellissimo parco naturale, il Bosco delle Querce, tuttora aperto a chiunque voglia andarci a fare una passeggiata, a correre o a stare a contatto con la natura. Ok, ma tutta questa storia cosa ha cambiato? L'incidente di Seveso ha avuto una grande rilevanza. Pensate, ha cambiato l'Unione Europea. In tutto nel corso degli anni sono state emanate tre direttive: la Seveso I, II e III. In sostanza l'obiettivo delle direttive è che, diciamo, un Paese non venga colto di sorpresa in disastri come quello di Seveso. E per elaborare piani di emergenza ha bisogno di conoscere bene le informazioni sui suoi impianti industriali, i dati e le caratteristiche della popolazione e del territorio attorno, ma anche ovviamente identificare quali siano le sostanze pericolose, individuare i rischi e così via. Il disastro di Seveso ha, diciamo un po' portato alla concezione di rischio e di conseguenza ha portato a predisporre degli strumenti per limitarlo il più possibile. Le tre direttive Seveso sono state imposte agli Stati dell'Unione Europea, quindi il disastro ha portato effettivamente a dei cambiamenti che superano i confini dell'Italia, di modo che tutti gli errori commessi durante l'incidente di Seveso, come anche la mancanza di informazioni iniziali e il ritardo nel dare l'allarme, non possano venire più commessi. O almeno questo è l'obiettivo comune. Questa è l'ultima ultrastoria del vodcast. ULTRASTORIE. Puoi trovare tutte la prima stagione sulle principali piattaforme di streaming e .

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