Perché la storia del giornalista italiano licenziato per la domanda su Israele deve preoccuparci
La storia di Gabriele Nunziati, un giornalista licenziato dall’agenzia di stampa Nova per aver fatto una domanda “scomoda” durante una conferenza stampa a Bruxelles, ha sollevato un dibattito sulla libertà di stampa e sulla possibilità di perdere il lavoro per aver fatto una domanda. La domanda di Nunziati riguardava il coinvolgimento di Israele nella ricostruzione di Gaza e se Israele dovesse pagare per la ricostruzione della striscia di Gaza, data la distruzione delle infrastrutture civili da parte dell’esercito israeliano.
L’agenzia Nova ha sostenuto che la domanda di Nunziati era “tecnicamente sbagliata” e che aveva creato “imbarazzo” all’azienda, in quanto la Russia ha invaso l’Ucraina senza essere provocata, mentre Israele ha subito un’aggressione armata. Tuttavia, Nunziati ha ribadito che la sua domanda si basava su fatti e che circa l’80% degli edifici della striscia di Gaza sono stati distrutti dagli attacchi dell’esercito israeliano.
La vicenda ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di stampa e sulla possibilità di mettere a tacere i giornalisti per le loro domande. Il Movimento 5 Stelle, il PD e altri politici hanno commentato la vicenda e hanno chiesto dei chiarimenti. La storia di Nunziati ci porta a chiederci se sia possibile perdere il lavoro per aver fatto una domanda e se la libertà di stampa sia realmente garantita.
In Italia, la classifica della libertà di stampa è scesa dal 49º posto nel 2022, il risultato più basso dal 2013, e uno dei peggiori in Europa. La vicenda di Nunziati è un esempio di come la libertà di stampa possa essere messa a rischio e di come i giornalisti possano essere ostacolati nel loro lavoro di informare e essere informati.

