Processo Regeni, le rivelazioni dell'ex direttore dei servizi segreti: “Un muro di gomma”
“Ecco il racconto del Processo Regeni, le rivelazioni dell'ex direttore dei servizi segreti: ‘Un muro di gomma'. Io, all'epoca, fui a conoscenza della scomparsa di Giulio Regeni quando, alle 23:45 del 28 gennaio, l'ambasciatore Chama mi chiamò il capocentro notificandomi che era successa una situazione determinante. Da un lato, una monolitica negazione da parte delle istituzioni, autorità, ambasciata e servizi, attivati da noi, ci era la sensazione che stessero adottando una forma di resistenza, era veramente delineato una situazione che è quella che entrava in una dicitura purtroppo ricorrente.
Giulio Regeni era stato oggetto di un fermo non ufficiale da parte degli organi di sicurezza egiziani. L'ambasciatore tentò di avere dei contatti con il Ministro degli Interni, ma non ci riuscì. Fui notificato che una Task Force era stata attivata, ma la negazione era relativamente ferma. Arrivai alla tarda mattinata del 3 febbraio al Cairo e alle 3 fui informato che il direttore del Gis mi disse: “Non abbiamo elementi” e “abbiamo attivato il servizio National Security”. Mi sembrava impossibile, dissi chiaro che c'era un aliquaia che diceva che era in mano a un fermo non ufficiale. Gli egiziani ci stavano mentendo.
Quando fui informato del ritrovamento del corpo, intorno alle 19:30-20, pensai che fosse un albergo. Infatti, il capocentro me lo informò che il corpo era stato trovato e che probabilmente era quello di Giulio. La prima domanda fu: “Come è morto?”, e la risposta fu: “Ci sono segni di trauma alla base del cranio, dall'altro canto parlava di segni esterni, non sapevano dire chi era stato. Il 4 febbraio, la mattina, fui informato che diversi punti erano stati chiariti. Intanto, l'ostruzionismo egiziano, chiamato ‘muro di gomma', che ha reso evidente fin dal 28 gennaio che Giulio era in mano degli apparati, era un'opinione condivisa anche con i servizi di altri Stati.
Il 3 febbraio, alle 23, fui informato che la causa della morte sarebbe stata un trauma al collo con segni sul corpo, come se fosse già stata fatta un'autopsia, che evidentemente non era stata ancora fatta. Fu reso ancora più evidente il fatto che le sparizioni forzate, purtroppo in Egitto, sono una costante. Il direttore Manenti mi definì ‘mostruosi' perché in questi fermi non ufficiali, le persone vengono torturate. Riguardo alle eventuali relazioni dirette o indirette tra Giulio Regeni e l'Agenzia, assolutamente no. Non lo conoscevamo, non era stato un agente del servizio italiano.
Tentai di sondare il servizio inglese, chiedendo se Giulio era una loro fonte, credo che la risposta negativa fosse reale. Era loro risorsa. Avevamo una potenziale evidenza che Giulio era vivo. Anche se poi le cose sono andate come sappiamo, stavamo proprio al massimo delle nostre pressioni sui servizi collegati e far capire che avevamo bisogno di loro risposte piuttosto che del loro in quel periodo avvenivano frequentemente i cosiddetti fermi non legali. Non conoscevo questa signora Zina Spinelli, ma era verosimile che fosse in contatto diretto, cioè che avesse dei contatti con gli altri Italiani che frequentavano l'ambasciata. Ha avuto notizia, tramite il suo servizio, che l'assistente del Ministro di Giustizia egiziano aveva inviato un WhatsApp a Zina Spinelli, il 27 gennaio, indicando che non c'era la notizia ufficiale, ma che lo stesso era vivo.
Non ho preso della signora Zina Spinelli dalla trasmissione della RAI, abbiamo fatto delle verifiche, ma diciamo non abbiamo avuto riscontri se uno dei miei avesse visto intravisto Giulio all'interno di un ufficio di polizia egiziano. Le risulta che addirittura [nome] abbia contattato La Spinelli in data 25 gennaio, prima che fosse stato avvertito dal professor Gervasio. Non mi risulta. Lo escludo in maniera più assoluta.”