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quando gli immigrati eravamo noi – nel 1904, nel quartiere italiano di philadelphia, in una …

Quando gli immigrati eravamo noi: la grande emigrazione italiana negli Stati Uniti

Nel 1904, nel quartiere italiano di Philadelphia, in una casa di 34 stanze, vivevano 90 famiglie, composte da 123 persone. In alcuni casi, fino a 7 persone cucinavano, mangiavano e dormivano in una sola stanza. Lo stesso scenario si ripeteva in città come Boston, St. Louis e Chicago.

Gli italiani erano protagonisti di uno dei primi scioperi del 1909 in California. Più di mille boscaioli lavoravano per la McCloud River Lumber Company, ma gli italiani erano costretti a vivere in baracchette e a pagare prezzi esorbitanti alla compagnia per l’affitto e per il cibo. Il 29 giugno, i lavoratori entrarono in sciopero contro la discriminazione subita in quanto italiani e chiedevano alla compagnia di mantenere la promessa di un aumento del salario di 25 cent al giorno e di avere la libertà di fare acquisti dove volevano. La protesta durò 16 giorni, durante i quali la stampa americana fu quasi tutta schierata con l’azienda, con articoli razzisti. Lo sciopero si concluse con una sconfitta dei lavoratori: la compagnia non accettò le loro rivendicazioni. La gran parte di loro abbandonò in massa la McCloud, trovando altri lavori o ritornando in Italia.

Gli italiani avevano anche la loro stampa. Espressione tipica delle Little Italies erano i giornali in lingua italiana, che si occupavano da un lato di dare notizie su cosa accadeva in patria e in Europa, dall’altro di dare voce alle vicende della comunità italiana negli Usa. Ci furono giornali come il Progresso Italo-Americano di New York, fondato da Carlo Barsotti nel 1880, La Voce del Popolo (1867), L’Italia (di San Francisco, 1886), L’Opinione (di Philadelphia, 1906) e La Gazzetta del Massachusetts (1905). Non mancavano giornali di stampo risorgimentale come L’Eco d’Italia, nato nel 1849 a New York su iniziativa di seguaci di Garibaldi e Mazzini.

Tra il 1850 e il 1930, si calcola che vengano pubblicati oltre mille periodici in lingua italiana, anche se molti di loro avevano una vita breve. Il censimento del 1920 rilevò che gli italiani si stabilivano in particolare a New York (390.382), seguita a distanza da Philadelphia (63.723), Chicago (59.215), Boston (38.179), Newark (27.465), San Francisco (23.924), Rochester (19.468), Providence (19.239), Cleveland (18.288), Buffalo (16.411), Detroit (16.205), Pittsburgh (15.371), anche se altri 501.606 italiani risultavano disseminati in tutto il resto del Paese, attratti dai lavori nelle miniere o nelle piantagioni e per la costruzione delle linee ferroviarie, che passavano dalle 30.600 miglia del 1862 alle 254.000 miglia del 1916.

Gli italiani si sposavano tra di loro, finché non prevaleva l’endogamia e le percentuali di matrimoni interetnici erano inferiori al 6%. “La famiglia di mia madre – racconta Martin Scorsese – arrivava da Ciminna, la famiglia di mio padre da Polizzi Generosa e si sposarono solo dopo che gli anziani delle due famiglie si furono riuniti ed ebbero dato il loro assenso”.

Il 21 giugno 1875, il New York Times rilevò criticamente che gli italiani “hanno la forte tendenza a formare colonie per stare insieme e vivere come in passato”. Gli italiani crearono colonie chiuse, come Little Italy, dove potevano mantenere la loro cultura e la loro identità. La famiglia italiana di emigranti era una realtà comune, con la moglie che cucinava e badava ai bambini, il marito che lavorava fuori casa e il padre che era il capofamiglia. Era una vita difficile, ma gli italiani si adattarono e crearono una nuova identità in America.

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