Raffaella Carrà ci aveva proiettato nel presente con cinquant’anni d’anticipo
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Raffaella Carrà ci aveva proiettato nel presente con cinquant’anni d’anticipo

Raffaella Carrà ci aveva proiettato nel presente con cinquant’anni d’anticipo

Cosa c’è di più di sensuale di due corpi che si sfiorano sembra potersi abbracciare? Di un movimento vorticoso che si interrompe un attimo prima dell’estasi? Di una libertà esibita con sfrontatezza nel tunnel censorio di un Paese che brancolava ancora nel buio? Forse niente al di là dell’azione stessa, persino di più. L’allusione, allora, si sublima in una rivoluzione. E un ballo, proibito, si fa manifesto di un capovolgimento culturale a cui sembriamo non essere ancora pronti dopo cinquant’anni. Paiamo non essere ancora pronti al Tuca Tuca, oggi. Troppo piccoli, noi, di fronte alla figura inarrivabile di Raffaella Carrà. Persi nella curva disegnata sinuosamente dal suo ventre, e incapaci di essere liberi fino in fondo come solo lei ha saputo essere.

Perché è facile pensare…

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