Regeni, la testimonianza di Minniti: “Da Egitto depistaggi per coprire gli 007″
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Regeni, la testimonianza di Minniti: “Da Egitto depistaggi per coprire gli 007″

Regeni, la testimonianza di Minniti: “Da Egitto depistaggi per coprire gli 007″

“Ecco la testimonianza di Minniti: ‘Da Egitto, depistaggi per coprire gli 007'. Subito dopo l'allarme rosso scattato il 31 gennaio 2016, noi ci attivammo immediatamente. La mia interlocuzione non era con ambienti dell'intelligence, io parlavo direttamente con il Presidente Sisi. Ciò iniziò ai primi di marzo 2016 e finì a dicembre 2017. Venni informato della scomparsa di Regeni dal direttore dell'AISE, il dottor Manen, che mi informò ufficialmente. Nello stesso momento, ricevetti anche una telefonata dal Ministro degli Esteri, onorevole Gentiloni Manenti, molto preoccupato sulla vicenda. Il Ministro mi chiese cosa avevamo fatto precedentemente e gli chiesi cosa era successo il 31 gennaio. Lui mi disse che naturalmente ci siamo attivati immediatamente, poiché nel momento in cui una persona scompare da parte dell'ambasciata, attiviamo tutti i canali di sicurezza, dalle forze di polizia alle forze di intelligence.

In quel caso, fu attivato immediatamente il capocentro dell'intelligence italiana al Cairo, il quale si mosse immediatamente. Lì, c'era una coincidenza, poiché il vice-direttore dell'Ace, il generale Caravelli, era presente al Cairo per altre ragioni. Dato che ci fu emergenza, se ne occupò direttamente.

La ragione per cui non fui informato immediatamente è che la sparizione di cittadini, non solo italiani, ma di cittadini stranieri in Egitto, non era una cosa rara. In gergo, si chiamavano “fermi non ufficiali”. L'intelligence, il capocentro, il generale Caravelli si attivarono con le autorità egiziane per chiedere risposte. La risposta era univoca: non sappiamo nulla.

Ci attivammo, cercammo di capire. La giornata di sabato, il Ministero dell'Interno, che aveva mantenuto un interlocuzione con i canali diplomatici e con i canali dell'intelligence, a un certo punto non comunicò più. Quella che appariva una forma di collaborazione cessò. Ciò aumentò la preoccupazione.

Fui informato delle procedure standard: prima si attivava con la pressione in loco, poi, se la pressione in loco, si attivavano i canali politici per informare di quanto accaduto e della situazione. Il Presidente del Consiglio oppure io lo chiamai immediatamente e lui mi disse che stava chiamando l'autorità delegata. Quindi, doveva verificare il presidente del consiglio e il Presidente del Consiglio ha avuto la notizia dell'allarme e voleva chiedere a me di occuparmene della questione, di occuparmene anche politicamente.

Fissai un appuntamento con il Presidente della Repubblica, Sisi. Il mio convincimento a questo primo appuntamento è che avevamo di fronte un omicidio che aveva delle responsabilità negli apparati egiziani e atterriamo all'aeroporto del Cairo. Fui fermato per un'ora e mezzo per i controlli di sicurezza e dei documenti. Qualcuno voleva farmi capire che non ero il benvenuto.

Inizio a sentire che la vicenda dei cinque, delle cinque persone poi decedute nel conflitto a fuoco, dovevano essere i veri assassini di Giulio Regeni fosse in qualche modo una risposta alla mia visita dell'8 marzo. Hanno tentato di proporci una verità metodo già utilizzato altre volte con successo. In questo caso, si tratta della morte del professor Lang in un commissariato di pubblica sicurezza al Cairo, quando mi fu comunicata. Hanno detto: ‘Sono tutti morti nel conflitto a fuoco, non ci sono testimoni'. La risposta fu: ‘Non è accettabile questa soluzione, non è possibile accettare soluzioni di depistaggio'.

Secondo lei, è corretto dire che l'azione di depistaggio del marzo è stata posta in essere da apparati pubblici egiziani per andare in protezione di coloro che hanno ucciso lo ritengo assolutamente probabile.

Lei può confermarci che Giulio non lavorava per i servizi italiani? Assolutamente no, era un giovane brillante ricercatore. I testi che abbiamo ascoltato oggi hanno dichiarato che hanno percepito fin da subito che tutto il male del mondo che è stato battuto su Giulio era opera degli apparati di sicurezza egiziana e che hanno condiviso questa intuizione con l'intelligence dei paesi alleati.

Questo fatto che è emerso è molto importante. Direi che è molto importante anche che è emerso con chiarezza che l'Egitto non è un paese sicuro, non è un paese sicuro neanche per gli italiani, non è un paese sicuro neanche per l'autorità delegata italiana. La paranoia di questo regime ha deciso le sorti di Giulio. Giulio era un ricercatore brillante che faceva un legittimo chiaro sacrosanto lavoro di ricerca e che non ha mai lavorato per i servizi. ‘””


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