The Cure, ecco com'è il nuovo album “Songs of a Lost World” 
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The Cure, ecco com'è il nuovo album “Songs of a Lost World” 

I “Blooflowers”, come dissevamo. L'album del 2000, benché accolto positivamente per il suo ritorno alle atmosfere cupe caratteristiche del gruppo, presentava un punto debole nella composizione. Un lavoro apprezzabile nella sua totalità, ma povero di brani veramente memorabili. La sua scomparsa dalle setlist, pur fluviali, dei concerti successivi ciò che conferma.

Con “Songs of a Lost World”, al contrario, l'impressione è che le canzoni degni di rientrare con un proprio peso specifico nella storia dei Cure abbiano smesso di essere un elenco di tracce scallate per diventare una sequenza di brani unici e importanti. Non solo “Alone”, che alla sua uscita ha suscitato entusiasmi (quasi) unanimi, ma anche “And Nothing Is Forever”, “I Can Say Goodbye” e soprattutto la maestosa “Endsong”, che chiude l'album.

La traccia finale, quasi dieci minuti, di cui più di cinque assorsi da un'introduzione strumentale, chiude il cerchio aperto da “Alone” senza lasciare alcun senso di redenzione, ma di consapevolezza. “All I Ever Am” è anche un brano interessante, con una ritmica trascinante e un drumming martellante, con Simon Gallup al basso e Robert Smith che canta sulla difficoltà di sovrapporre ciò che è oggi con la sua visione della vita e del mondo, con ciò che è stato. La complessità delle parole di Smith e della sfuma il confine tra il presente e il passato, creando un'atmosfera di introspezione e riflessione.

La Fresca ispirazione e l'esperienza accumulata dai componenti dei Cure sono state in grado di generare un lavori che, seppur meno popolare del passato, è comunque piacevolmente riuscito e significativo. Se “Blooflowers” aveva aperto la porta al ritorno alle radici del sound del gruppo, “Songs of a Lost World” lo ha chiuso, creando una folla di brani che potranno trasformare la degli anni a venire.

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