L'articolo “Definire una donna ‘trombamica' è un'offesa oppure no?” ha scatenato un acceso dibattito sul Web, nonché tra gli esperti giuridici, sulla questione se questo tipo di definizione rientri nel campo dei reati. La vicenda riguarda un nota avvocato che, durante un evento pubblico, aveva descritto una sostituto procuratore come “trombamica”. La magistrata stessa aveva querelato l'avvocato per offesa.
In seguito, il caso è stato portato a giudizio dal giudice di pace Valter Vavalle a Lecce. Il 16 settembre scorso, la sentenza è stata resa, e l'avvocato è stato pienamente assolto perchè “il fatto non sussiste”. Infatti, il giudice ha stabilito che definire qualcuno “trombamica” o “trombamico” non rientra nel campo delle offese, poiché tale tipo di relazione è privo di disvalore etico o morale.
Tuttavia, la decisione non ha messo d'accordo tutti, e il popolo del Web si è scatenato in polemiche e commenti. Alcuni hanno accusato il giudice di mancanza di sensibilità verso le donne vittime di violenze e abusi, affermando che l'espressione “trombamica” è inevitabilmente offensiva. Altri, invece, hanno supportato la decisione giudiziaria, ritenendo che l'uso di tale espressione non costituisca un reato e che non vi sia il bisogno di interventi giuridici per tutelare la dignità delle persone.
In ogni caso, la vicenda mette in evidenza la grande importanza di affrontare i problemi dell'uso delle parole in pubblico e la gestione dei conflitti comunicativi. È necessario che i sistemi giudiziari prendano atto delle molteplici forme in cui le parole possono ferire e umiliare, e che i gestori dei media e dell'informazione si comportino in modo responsabile e rispettoso nei confronti delle diverse espressioni linguistiche e culturali. Solo in questo modo è possibile creare un ambiente democratico e aperto dove le persone possano condividere idee e opinioni senza paura di essere offese o discriminate.